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Solitudine

Creato il 21 novembre 2011 da Lulu

Che vergogna andare al cinema da solosenza un amico, senza un’amica, senza moglie,là dove tutti gli spettacoli sembrano tanto brevie tanto lunga la loro attesa.Che vergognain questa interiore guerra dei nervidavanti alle coppiette beffarde del foyerin un angoletto, tutto rosso, masticare un pasticcino,come se ci fosse di che restar confusi…Noi,fuggendo la solitudinee l’angosciaci buttiamo in qualsiasi compagnia,e così degli obblighi che fanno schiavi di amicizie senza sensoti perseguiteranno fino alla tomba.Le amicizie si formano in modo assurdo:gli uni si danno al bere senza una ragione,gli altri non sono interessati che ai fronzoli e alle donnacce,e c’è pure chisembra occupare il tempo in discussioni astratte,ma di fattosi somigliano tutti tra di loro…Molte son le forme della vanità!O l’una,o l’altra chiassosa compagnia…Non saprei a quante di questeio sia riuscito a sfuggire!E come caduto in un nuovo tranello,sono riuscito a sfuggire,lasciandovi il pelo,sono sfuggito!Mi sei dinanzi, vuota libertà…Perche’ diavolo mi sei necessaria! Mi sei carae insieme odiosa,come una moglie non amata e fedele.E tu, amata mia,come stai tu?Ti sei liberata delle tue vane preoccupazioni?A chi adesso appartengono i tuoi occhi strabicie le tue bianche, splendide spalle?Pensi certo che io mi vendichi,che in qualche parte mi precipiti in taxi,ma se anche lo facessidove scenderei?Eppure non potrei liberarmi di te!Con me le donne si rinchiudono in sé,perché sentonod’essermi ora del tutto estranee.Abbandono la testa sulle loro ginocchia, ma non a loro,a te appartengo…Or non è molto sono stato da unain una brutta casupola di via Sennàja.Ho appeso il paltò a un misero attaccapanni.Sotto un abete spoglio da un lato, con le lampadine fioche,rilucendo con le sue pantofoline bianche,sedeva una donna, severa come una bambina.Avevo così facilmente ottenuto il permessodi venire,che ero sicuro di mee troppo inebriato, come oggi si usae le avevo portato non fiori, ma vino.Ma tutto apparve molto più complicato…Ella tacevae modestamente due goccette trasparenti,due orecchini,brillavano sui suoi lobi rosati.E, come sofferente, guardandomi confusa,sollevando il suo corpo di fanciulla, mi disse con voce smorzata:“Vattene…E’ meglio di no… Lo vedo,non sei mio, ma suo…”Mi amava una ragazzettadalle maniere rudi, da maschiaccio,con un ciuffetto sbarazzinoe gli occhi trasparenti,pallida di paura e tenerezza.Eravamo in Crimea.C’era di notte un temporalee la ragazzinaal bagliore dei lampimi sussurrava:“Mio piccolo!Mio piccolo!”e mi copriva gli occhi col palmo della mano.Intorno tutto era spaventosamente solenne,il tuonoe il gemito sordo del mare, quando all’improvviso ella,con una lucidità tutta femminile, mi gridò:“Non sei mio!Non sei mio! »Addio, mia amata!Io sono tuo, cupoe fedele,e la solitudineè la più fedele di tutte le fedeltà.E non importa se sulle mie labbra non fonde piùla neve d’addio del tuo monchino.Grazie alle donnebelle e infedeliper tutto ciò che è durato un istante, per quell’addio!che non è un “arrivederci!”,perché, fiere come regine nella loro menzogna,ci regalano delle dolci sofferenzee i magnifici frutti della solitudine.Evgenij Evtusenko-Nella foto Man Ray e Meret Oppenheim-

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