Somalia/ Terrorismo. Al-Shabaab e Somalia, una sinergia in via di sviluppo

Creato il 07 marzo 2014 da Antonio Conte

Somalia

Sono passati poco più di dieci giorni da quanto al comando del “European Union Training Mission to contribute to the training of Somali security forces” – EUTM Somalia – è arrivato il Generale Massimo MINGIARDI, paracadutista della Brigata Folgore e veterano della missione IBIS del 1993.

Un compito già complesso che è aggravato dalla grave instabilità sociale, politica ed economica del paese duramente colpito da ormai vent’anni di instancabili lotte intestine.

In questo scenario geopolitico tra i più controversi degli ultimi anni si sta facendo largo a colpi di attentati una rinnovata cellula terroristica – Al-Shabaab – che sembra aver trovato nella dilaniata terra somala terreno fertile per innalzare il suo rango nella grande rete terroristica mondiale.

Il 21 febbraio il palazzo presidenziale di Mogadiscio, Villa Somalia, ha subito un attacco da parte dei miliziani della cellula jihadista che ha prodotto 14 vittime e un’impatto mediatico di notevole risonanza.
Considerando che la zona è considerata altamente strategica per i traffici commerciali internazionali e che l’influenza della Somalia “terrestre” sulla pirateria nel Golfo di Aden è notevole, la notizia ha trovato ampio spazio sulla stampa internazionale, riportando  all’attenzione il rinnovato attivismo delle milizie radicali islamiche e rilanciando un nuovo allarme sul rischio terrorismo nel Corno d’Africa già sotto i riflettori di analisti ed esperti.

Da diversi mesi ormai la capitale somala è centro di una scia di attentati e intimidazioni ai danni del contingente europeo,  del personale diplomatico e della stessa popolazione civile, tuttavia l’interrogativo principale che divide gli esperti è: può Al-Shabaab mirare ad essere quel grande punto di riferimento per il terrorismo di matrice jihadista nel mondo del terrorismo globale?

La risposta è complessa e alcuni esperti sono propensi nel sostenere che il terrorismo somalo sia in realtà uno degli astri nascenti del mondo post-Afghanistan, infatti se riuscisse ad ottenere l’affiliazione alla grande famiglia di Al-Qaida i finanziamenti non tarderebbero ad arrivare e le aspirazioni somale potrebbero tradursi in una maggior credibilità strategica e tattica che traformerebbe la rete in un pericolo tanto per la sicurezza del paese quanto per la stabilità dell’area stessa.

Al-Shabaab così come ogni organizzazione terroristica che si rispetti e che si muove in un contesto assimetrico ha due necessità imperative: colpire obiettivi mediaticamente rilevanti e amplificare la diffusione delle notizie all’estero attraverso una comunicazione efficace.
Solo in questo modo la rete terroristica potrà sperare di ottenere un sostegno finanziario e nuovo capitale umano in arrivo da altre cellule affiliata alla rete.

Così come noi utilizziamo la pubblicità per scoprire quali prodotti acquistare o cosa fa tendenza, così le organizzazioni terroristiche utilizzano i media per dimostrare alle reti globali del jihadismo l’utilità di finanziare un’organizzazione.

Insomma, i media sono diventati una vetrina ignara per il grande mondo del terrorismo internazionale, Al-Shabaab non ne è rimasta sicuramente esclusa e nonostante sia ad oggi  considerata sostanzialmente periferica e senza alcuna capacità operativa al di fuori del contesto regionale molti gruppi terrorristici si stanno attivando per colmare questo gap e rendere la Somalia la nuova punta di diamante per la lotta armata internazionale.

Traendo delle conclusioni preliminari si potrebbe dire che Al-Shabaab stia cercando di ritagliarsi un posto di rilievo nella rete globale del terrorismo, un triste primato ma assolutamente utile considerando il grande fermento che negli ultimi anni si sta rilevando nel Corno d’Africa.

In questo scenario quasi surreale, dove i media sono usati come mezzo per avere una vetrina sul mondo e gli atti terroristici risultato essere metro di valutazione per elargire finanziamenti si inserisce perfettamente l’attentato del 21 Febbraio.

La rilevanza dell’attacco, nel suo complesso, è stata determinata dall’aver colpito un simbolo governativo nel pieno centro  della capitale, senza in realtà conseguire alcun risultato pratico sotto il profilo della sicurezza – aspetto comune alla maggior parte degli attentati terroristici.

L’attentato – come migliore tradizione delle cellule jihadiste afghane – si è portato a termine mediante l’impiego di un veicolo-bomba, fatto esplodere all’altezza del checkpoint esterno del palazzo presidenziale eliminando una prima barriera difensiva e favorendo l’ingresso di un commando armato.

L’operazione è stata facilitata dalla confusione presente in strada, soprattutto a causa di alcuni lavori di rifacimento del manto stradale che impegnavano numerosi uomini e mezzi, non avendo possibilità di ricollocare i palazzi del potere ed eventuali sedi operative, il contingente è costretto ad operare in contesti urbani che ai fini militari creano non pochi disagi.

Tuttavia è importante evidenziare la sempre più alta capacità di protezione degli obiettivi sensibili da parte delle forze governative neocostituite, notevole è stata la capacità di reazione per la messa in sicurezza del Presidente somalo presente a palazzo nonché una celere ed efficiente reazione al fuoco aperto dai nove miliziani in modo disordinato e senza uno schema preciso.
Il livello di preparazione e di coordinamento è assolutamente lontano dalla minuziosa fase di pianificazione degli attentanti delle cellule afghane o irachene, nonostante ciò non si può pensare che Al-Shabaab sia una cellula da sottovalutarsi.

La dinamica dell’attacco ha  dimostrato come le tecniche al-Shabaab siano rimaste pressoché immutate nel corso del tempo, senza perfezionamenti che  possano rivelare un miglioramento delle capacità operative e logistiche del gruppo. Nonostante tutti i nuovi teatri aperti nel Corno d’Africa abbiamo ricevuto un How – Know dalle altre cellule gemellate, poco è arrivato alla Somalia che persino sulla tecnologia IED risulta indietro anni luce.

L’attacco ha avuto solo ed esclusivamente un valore politico e mediatico, raggiungendo l’obiettivo prefissato dagli islamisti, cioè quella di offrire lo spunto per una massiccia campagna di comunicazione all’esterno, alla ricerca dell’integrazione con le reti di finanziamento globale del jihadismo.
Il finanziamento è l’obbiettivo principale, il denaro che questa vetrina internazionale porterà nelle casse del gruppo servirà a finanziare la riorganizzazione interna al gruppo stesso e attentati futuri decisamente meglio gestiti.

In termini di legittimazione – che anche per le forze insurrezionali è un’aspetto fondamentale per continuare ad operare sul campo – l’attentato è stato un fallimento annunciato: perdita dell’intero commando e fallita irruzione nel palazzo presidenziale; ulteriore incremento del risentimento e  dell’ostilità da parte della popolazione civile. Sicuramente un durissimo colpo in termini di immagine, ma bilanciato dal futuro finanziamento che secondo le previsioni, potrebbe portare bonifici con diversi zeri.

Al-Shabaab non è una di quelle cellule terroristiche minori e maleorganizzate come molti sono portati a pensare, sicuramente le capacità logistiche e operative del gruppo sono state seriamente indebolite dalle lodevoli forze messe in campo dalla comunità internazionale per consolidare il ruolo del Governo regolare, ma come è saltato all’attezione degli esperti, la crisi politica degli ultimi mesi ha parzialmente  compromesso il processo di messa in sicurezza della Somalia, concedendo ad Al-Shabaab un’inaspettata finestra di opportunità per riorganizzarsi.

L’aspetto più urgente è stato quella di una ricollocazione territoriale che è stata parzialmente conseguita concentrando le proprie forze nella riconquista di una fascia di terreno costiero, costituendo una nuova roccaforte attorno alla città di Barawe collocata strategicamente fra Mogadiscio e Kisimayo indispensabile per avviare e gestire traffici di varia natura e dove poter esercitare qualche forma di controllo – sebbene  limitata – sulla lucrosa distribuzione degli aiuti umanitari.

I miliziani somali stanno acquisendo esperienza rapidamente, prendendo spunto dalle situazioni di altri paesi soggetti a lotte militari intestine. Il primo grande concetto assimilato è quello della necessaria diaspora sul territorio delle proprie catene di comando e logistiche, distribuendole in una vasta e pressoché inaccessibile area a ridosso delle principali cittadine costiere a sud di Mogadiscio.

È proprio da queste zone che i somali conducono le proprie azioni terroristiche in modo pressoché incontrastato, le forze governative hanno interrotto l’offensiva costiera e nei principali centri urbani dell’entroterra, lasciando margine di manovra alle milizie islamiche e permettendone il nuovo radicamento in aree utili al consolidamento dei propri interessi economici.

La recente ondata di attentati a Mogadiscio è dunque da imputarsi alle accresciute capacità offensive di Al-Shabaab dopo un fruttuoso periodo di riorganizzazione interna.

Si tratta di uno dei casi di riordinamento meglio riusciti degli ultimi anni, un brillante esercizio di ottimizzazione delle risorse, reso possibile da due fattori fondamentali: l’incapacità delle forze governative e multinazionali di sostenere lo sforzo militare in modo più capillare a causa della crisi economica e la capacità delle unità speciali di al-Shabaab – Amnyat – di adattarsi al nuovo contesto. Questo riassestamento e miglioramento della logistica, permetterà a questo nodo terroristico di vantare crediti importanti sui circuiti internazionali del finanziamento jihadista. 

Per ottenere una rivalsa sulla nuova Al-Shabaab sarà necessario riprendere saldamente l’iniziativa da parte delle forze di coalizione e multinazionali.

L’obbiettivo è quello di arrivare ad avere il pieno controllo politico, economico e militare della costa e delle principali città lungo gli assi di comunicazione interna della Somalia, prosciugando ogni sorgente di finanziamento.

Un ruolo cardine lo gioca la popolazione, che come per il caso afghano, deve essere ricondotta sulla sponda della legalità distruggendo la credibilità delle organizzazioni terroristiche e limitando la visibilità che queste hanno grazie ai media.

Uno sforzo sicuramente complesso che non si limita ad un’impegno corposo solo dal punto di vista militare, ma che incontra ostacoli anche di natura culturale – come lo smantellamento della formidabile rete di corruzione che affligge l’amministrazione pubblica.

Nulla lascia presagire che Al-Shabaab stia andando incontro ad un ridimensionamento in piccolo della sua organizzazione, tutt’altro, vi sono evidenti prove di una sua scalata verso il successo delle attività terroristiche della jihad islamica nel Corno D’Africa.

Le truppe europee impegnate nel continente dovranno prestare sempre maggiore attenzione agli sviluppi di questa futura grande cellula del terrore, dato che vi sono tutti i presupposti perchè questa diventi in un giorno nemmeno troppo lontano uno dei principali attori asimmetrici con cui confrontarci.

Denise Serangelo

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