Magazine Diario personale

Something called memories.

Da Sayuko
Qualcuno li chiama semplicemente ricordi, altri rimorsi o rimpianti. Sono quelli che ti fanno piangere quando ripensi a certi istanti passati, che ti fanno incazzare perchè "avrei potuto fare, dire, pensare" e invece ti ritrovi sola con il tuo "se" in testa. Ti fanno rimanere sveglia fino a tardi a mugugnare su frasi dette o non dette e ti fanno ancora battere forte il cuore. Ci sono situazioni in cui cerchi di agire al meglio, fai quello che ti sembra più giusto in quel momento e poi scopri, a distanza di anni, che forse avresti potuto fare di più, avresti potuto parlare di più. Ma tutti sono bravi con il senno di poi. Ci sono certi rimpianti che ti rimangono imbrigliati nella coscienza come se fossero intrappolati in una tela di un ragno e non si muovono. Rimangono lì, fermi, dentro di te, e a volte capita che te ne ricordi e allora ti metti lì e cerchi di capire. Ma perchè sforzarsi tanto su cose che non puoi più modificare? Ecco questa è una cosa che non ho mai capito del mio carattere con cui mi scontro ancora un po' adesso. Passano gli anni, ti riprometti che non vuoi più avere dei rimpianti, che hai imparato dagli errori del passato e riesci ad essere fedele alla tua promessa, seppur con non poca fatica in certi momenti. Eppure quegli anni non riesci a vederli come un qualcosa che ti ha permesso di crescere, di essere ciò che sei adesso. Li vedi solo per ciò che ti sono sempre sembrati: rimpianti. E ti rassegni che non riuscirai più a staccargli quell'etichetta che tu stessa gli hai cucito addosso, non si eleveranno mai allo status di ricordi perchè ciò significherebbe che tutta quella negatività, tutto quel rimpianto appunto, svanisca. Così decidi di rinunciare in quest'impresa e lasci semplicemente che il tempo scorra, che ogni tanto continui a ripensarci, che ogni tanto ti intristisci e che ogni tanto ti faccia assalire dalla malinconia. Ma una mattina di metà Luglio tu sei lì, su una metro, pigiata alla porta che aspetti solo che arrivi la tua fermata e, mentre lasci la stazione e sfrecci verso destinazione, negli ultimi attimi prima di lasciare la banchina la vedi: un volto famigliare, un solo secondo per riconoscerla e aspetti. Aspetti che di nuovo la tristezza e la malinconia ti colpiscano. Ti aspetti che arriverai in ufficio e continuerai a pensarci, che domani riprenderai lo stesso treno perchè vuoi vedere quella persona e in un certo senso farle vedere quanto tu sia felice, quanto la sfigata di turno ora è la persona che sorride a tutti, quanto la fighetta del liceo è diventata la normalità impersonificata. E ci aggiungerei pure l'antipatia fatta persona, ma questo è un altro discorso. Niente. Non succede niente. Ti rendi conto che sì, quei pensieri di "rivicita" ti hanno sfiorata ma... ti hanno solo fatta ridere, ti sono sembrati così buffi e lasci perdere. Il giorno dopo prendi il tuo solito treno, la tua solita metro e l'hai già dimenticata. Perchè ti rendi conto che quei rimorsi si sono epurati di tutto il dolore e la tristezza che si portavano dietro e sono diventati ricordi. Di un periodo spensierato in cui hai conosciuto delle persone che dopo 15 anni sono ancora al tuo fianco. Di un periodo in cui si pensava solo al presente. Ed è solo quando te ne rendi conto che ti accorgi di quanto, se pur banale ti sia sempre apparsa, la frase "il tempo guarisce tutto" sia vera.

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