di Daniel Angelucci
È sfociato in un Rapporto di 372 pagine il lavoro degli investigatori dell’ONU sullo stato dei diritti umani nella Corea del Nord. All’indagine, condotta da tre incaricati – Michael Kirby (Australia), Sonja Biserko (Serbia) e Marzuki Darusman (Indonesia) – è stata allegata un lettera indirizzata al Capo di Stato Kim Jong-un dove si rileva che le violazioni dei diritti umani sono di una gravità tale che gli investigatori chiedono il deferimento alla Corte Penale Internazionale dell’Aja dei dirigenti nordcoreani responsabili.
Come era prevedibile, le autorità governative della Corea del Nord rifiutarono ogni forma di collaborazione con la Commissione di inchiesta ONU (d’ora in poi la “Commissione”) non rispondendo ai ripetuti appelli della stessa affinché gli si consentisse l’accesso al Paese sotto indagine.
In assenza di accesso diretto al Paese, l’organismo ha lavorato secondo un duplice metodo che l’ha visto impegnato dapprima nel vaglio di informazione di prima mano proveniente sia da testimoni diretti sia dalle vittime stesse delle violazioni mediante interviste confidenziali; in secondo luogo sono state condotte una serie di udienze pubbliche in varie città come Seoul, Tokyo, Londra e Washington.
Nel valutare la situazione dei diritti umani nella Corea del Nord la Commissione ha fatto affidamento in misura prevalente sui principali Trattati internazionali portatori di vincoli legali a cui Pyongyang ha aderito: Patto Internazionale relativo ai Diritti Civili e Politici; Patto Internazionale relativo ai Diritti Economici, Sociali e Culturali; Convenzione sui Diritti del Bambino; Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne.
La Commissione ha rilevato numerose forme di violazione di diritti umani che in taluni casi configurano veri e propri crimini contro l’umanità. A perpetrare tali violazioni sono ufficiali di vario rango e afferenti alle più svariate branche dell’amministrazione della Repubblica nordcoreana. Vale la pena evidenziare come, in parte, la situazione dei diritti umani nell’attuale Corea del Nord sia un retaggio di esperienze storiche riferibili alla popolazione coreana: le strutture sociali del Confucianesimo, l’esperienza dell’occupazione giapponese e la Guerra di Corea con la relativa divisione territoriale. Questo passato oggi si incardina in un sistema politico basato su un solo partito e sulla leadership suprema di Kim Jong-un, il tutto supportato da una ideologia di Stato e da una economia pianificata e centralizzata.
Il monopolio assoluto sull’informazione ed il controllo totale della vita sociale esercitati dallo Stato si traducono sul piano dei diritti in un quasi completo diniego della libertà di pensiero, coscienza, religione, opinione, espressione, informazione e associazione. Le strutture statali sono impegnate nel trasmettere alla cittadinanza un ossessivo culto della personalità del leader. La propaganda e l’indottrinamento sono ulteriormente utilizzati dalla Repubblica nordcoreana per incitare l’odio nazionalistico verso i nemici ufficiali del regime: Giappone, Stati Uniti e Corea del Sud.
In Nord Corea lo Stato, attraverso i propri apparati, permea la vita dei privati cittadini facendo sì che qualsiasi forma di dissenso sia rilevata e seguita da una dura punizione. Particolarmente carente è la libertà di informazione; infatti, le uniche fonti di informazione permesse sono quelle ufficiali di Stato: i cittadini sono puniti per guardare trasmissioni estere e persino semplici soap opera.
Sul versante della religiosità, lo Stato considera la diffusione del Cristianesimo una seria minaccia poiché esso si pone come una sfida alla dottrina del pensiero unico e della leadership suprema: fatte salve alcune chiese controllate dallo Stato, ai Cristiani è severamente vietato la pratica della loro religione e per tale motivo sono perseguiti e puniti.
A tale sistema politico e mediatico si somma una realtà sociale dove a prima vista regna il principio di uguaglianza e di non discriminazione. In realtà, la società nordcoreana è retta da un sistema di discriminazione che si può riassumere con una parola sola: Songbun. Questo sistema classifica le persone sulla base di classi sociali che lo Stato assegna dalla nascita ed include informazioni circa le opinioni politiche e la religione della persona. Il Songbun di un cittadino ne determina il suo destino: da questo dipende il percorso di studi, l’accesso al cibo durante una eventuale carestia, fino alla residenza e al luogo di lavoro.
Attitudini patriarcali e violenza contro le donne pongono queste ultime in una posizione deteriore nella società nordcoreana. Violenze in generale, ed in particolare sessuali, sono diffuse in tutte le aree della società e, per via della negligenza degli organi giudiziari, tali aggressioni rimangono impunite. Nella sfera amministrativa dello Stato le donne non occupano più del 10% delle posizioni.
I sistemi di indottrinamento e di discriminazione sulla base delle classi sociali sono infatti rafforzati da una diffusa politica di isolamento dei cittadini dai contatti civili tra di loro e con il mondo esterno violando cosi il diritto alla libertà di movimento. In altre parole i cittadini non hanno libertà di scegliere dove vivere e dove lavorare e questo ha portato negli anni ad una società segregata dove coloro che sono sospettati di dissidenza politica sono relegati ad aree marginali. Tale meccanismo di segregazione è meglio esemplificato dallo status speciale di cui gode la città di Pyongyang, il cui diritto a risiedervi è riservato alla cittadinanza più “pura” in termini di lealtà allo Stato. Nel tentativo di preservare la purezza della città capitale, lo Stato sistematicamente bandisce intere famiglie anche se solo uno degli elementi della compagine familiare pone in essere un “crimine politico”.
Per quanto riguarda i viaggi verso l’esterno, i cittadini nordcoreani, ancorché soggetti ad un divieto assoluto, spesso intraprendono la rischiosa iniziativa di migrare, la maggior parte delle volte verso la Cina. Quando vengono presi oltre confine vengono rimpatriati e una volta che cadono fra le mani degli ufficiali nordcoreani sono soggetti ad atrocità: torture, violenze sessuali, arresti arbitrari e aborti forzati per le donne incinte.
È assai noto che la Corea del Nord ha vissuto in più occasioni delle severe carestie alimentari. Ciò non ha nulla a che fare con l’uso che lo Stato fa degli alimenti quale mezzo di controllo sulla popolazione. La Repubblica nordcoreana ha fatto e continua a fare un uso selettivo degli alimenti dando priorità, nella distribuzione del cibo, a coloro i quali il regime ritiene cruciali per la sua sussistenza trascurando la popolazione ritenuta non degna di salvaguardia. La Commissione di inchiesta è particolarmente preoccupata dalla cronica malnutrizione dei bambini e degli effetti di tale condizione nel lungo periodo. Inoltre, le autorità statali hanno usato deliberatamente la fame come forma di controllo e punizione in strutture di detenzione e ciò è scaturito in numerosi decessi sia dei detenuti ordinari sia di quelli cosiddetti “politici”.
La Commissione di inchiesta rileva inoltre che decisioni, azioni ed omissioni dello Stato in esame e della sua leadership hanno causato la morte di centinaia di migliaia di persone e hanno inflitto danni permanenti – fisici e psicologici – a coloro che sono sopravvissuti.
Oltre a queste vistose e gravi violazioni, la Corea del Nord è anche il regno dell’impunità, in quanto le forze di polizia e di sicurezza usano, arbitrariamente e fuori da ogni controllo, sulla popolazione civile mezzi coercitivi al fine di prevenire e reprimere ogni forma di sfida al sistema di governo dominante. Si è già accennato alla categoria del delitto politico: chi è reo di commetterlo spesso scompare senza che alle famiglie venga data alcuna spiegazione. La tortura è una costante dei processi di interrogazione e chi è sottoposto a processo è spesso ridotto alla fame o ad altre condizioni inumane.
Condizioni anche peggiori quelle degli internati dei campi di prigionia politica: la popolazione carceraria è soggetta a lavori forzati, esecuzioni sommarie, malnutrizione, tortura, stupro e infanticidio. La Commissione stima che centinaia di migliaia di prigionieri politici hanno perso la vita in questi campi e che le atrocità di cui sopra non sono molto diverse dagli orrori dei campi che gli Stati totalitari crearono durante il XX Secolo.
Tutte queste violazioni configurano crimini contro l’umanità? La Commissione, nella consapevolezza che essa non è un organo giudicante, né tantomeno un procuratore (nel senso giurisdizionale del termine), s’è posta il problema di definire su una base di ragionevolezza se determinate fattispecie costituiscono crimini contro l’umanità e pertanto meritino una investigazione penale condotta da un organo di giustizia competente.
Secondo i rilievi della Commissione, i crimini contro l’umanità vanno dallo sterminio all’assassinio passando per la riduzione in schiavitù, violenza sessuale, torture, trasferimenti coattivi di popolazione, ecc.
Persone detenute in campi di prigionia (politica e non), coloro che hanno cercato di abbandonare lo Stato, i Cristiani ed altri considerati portatori di idee sovversive sono gli obiettivi primari di un attacco sistematico e diffuso contro la popolazione che sia ritenuta quale minaccia al sistema politico e alla leadership della Repubblica Democratica della Corea del Nord.
* Daniel Angelucci è Dottore in in Scienze Politiche (Università di Teramo)
Photo credits: AP
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