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“Sono i cristiani che sorreggono il mondo” Il cristiano n...

Da Eleonoraely
“Sono i cristiani che sorreggono il mondo” Il cristiano n...
“Sono i cristiani che sorreggono il mondo” Il cristiano n...“Sono i cristiani che sorreggono il mondo” Il cristiano n...“Sono i cristiani che sorreggono il mondo” Il cristiano n...


“Sono i cristiani che sorreggono il mondo” 
Il cristiano nel mondo secondo John Henry Newman e la Lettera a Diogneto 



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I cristiani: quelli che sorreggono il mondo 



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Nella lettera indirizzata a lui, Diogneto lesse la frase già citata sopra: “L’anima è rinchiusa nel corpo, ma essa a sua volta sorregge il corpo. Anche i cristiani sono trattenuti nel mondo come in una prigione, ma sono essi che sorreggono il mondo”. È mai possibile questo? Tutto il mondo sorretto da un gruppo di gente, da un gruppo non raramente odiato e perseguitato? 
Nella Grammatica dell’assenso, Newman precisa che la rivelazione comincia là dove la religione naturale viene meno. La religione naturale è basata sul senso del peccato; riconosce la malattia, ma non offre nessun rimedio. Per questa ragione ha bisogno di un completamento e il solo completamento possibile è il cristianesimo, perché esso è il solo rimedio per il peccato. “Quel rimedio, sia alla colpa che all’impotenza morale”, scrisse Newman, “si trova nella dottrina centrale della rivelazione, la mediazione di Cristo...
Questo è il modo in cui ha saputo fin dall’inizio occupare il mondo e guadagnare credito in ogni classe della società umana che i suoi predicatori raggiungevano; questa è la ragione per cui il potere romano e la moltitudine di religioni che esso comprendeva non potevano resistergli; questo è il segreto della prolungata energia e dei suoi martiri che mai cedettero; questo è il modo in cui oggi è così misteriosamente potente, malgrado i nuovi e minacciosi avversari che ne cospargono la via. Ha dalla sua quel dono di tamponare e di sanare l’unica profonda ferita della natura umana... e per questo deve durare finché dura la natura umana”
(Scritti filosofici, p. 1669).
Nel romanzo Callista, Newman ha dimostrato cosa intende dire quando parla della “profonda ferita della natura umana” nel dialogo tra Callista e il prete Cecilio (che in realtà è Cipriano, Vescovo di Cartagine): “Vuol dire - disse Callista con calma - che dopo questa vita finirò nel Tartaro per l’eternità?
- Tu sei felice? - chiese il sacerdote a sua volta. Callista indugiò, abbassò gli occhi e poi disse con voce chiara e profonda: - No.
Seguì un breve silenzio.
- Forse da anni ti senti infelice - riprese il sacerdote.
- Non è così? Vedo che l’ammetti. Hai un grosso peso sul cuore e non sai cosa sia. Ed è probabile che questa infelicità diventi sempre più pesante in futuro. Ti sentirai sempre più infelice, finché vivrai. Quando sarai vecchia, non riuscirai più a sopportare l’esistenza.
- Quello che lei ha detto, è vero - gridò Callista, come se soffrisse fisicamente.
- Me l’ha detto per insultarmi e deridermi?
- Dio me ne guardi! - esclamò Cecilio. - Ma lasciami parlare. Ascolta, figliola.
Abbi il coraggio di guardare in faccia la realtà. Ogni giorno che passa senti su di te un peso in più. Questa è la legge della nostra vita terrena... Non puoi rifiutare di accettare ciò che non è un’opinione ma un fatto.
Voglio dire che questo peso di cui parlo non è solo un dogma della nostra fede, ma un fatto naturale
innegabile. E i nostri sentimenti non potranno mai cambiarlo; anche se tu vivessi duecento anni, constateresti che è sempre più vero. Alla fine dei duecento anni, la tua infelicità sarebbe tale da non far rallegrare neppure i tuoi peggiori nemici....
- Ma tu non vivrai tanto, dovrai morire. Forse mi risponderai che così cesserai d’esistere. So però che non la pensi così. Tu pensi, come me e come una moltitudine d’altri individui, che continuerai a vivere, che continuerai ad esistere. Sarai ancora lo stesso essere, ma senza le consolazioni che ora puoi ottenere. Sarai sola, chiusa in te stessa... E allora, se non avrai più niente di ciò che hai ora, e rimarrai con l’unica compagnia di te stessa, la tua infelicità sarà senza dubbio maggiore e non minore di ora.
Pensa per un momento che ti piaccia parlare e che tu non possa farlo; che ti piacciano i poeti della tua gente e non riesca a ricordarli; che ti piaccia la musica e che tu non abbia strumenti per suonarla; che ti piaccia la scienza e che tu non abbia niente da imparare; che desideri l’affetto e non ci sia nessuno da amare; allora, non sarebbe più grande l’infelicità?
Facciamo un altro passo; supponi di trovarti tra persone che non ami; che non ti piacciano le loro
occupazioni e non capisca i loro scopi; supponiamo che ci sia, come dicono i cristiani, un Dio onnipotente, che non ti piaccia, che non voglia pensare a lui, che non ti interessi chi è e cosa ha fatto; e supponiamo che tu scopra che c’è solo Lui, da te non amato e a cui vorresti sfuggire; non ti sentiresti ancora più infelice? E se questo durasse per sempre, non si tratterebbe di una pena indicibile per sempre?...
- Se, d’altra parte - continuò Cecilio, senza badare alla sua interruzione - tutti i tuoi pensieri seguono una stessa direzione; se tutti i tuoi bisogni, desideri, aspirazioni sono rivolti a un solo oggetto, e suppongono, per il fatto stesso della loro esistenza, che esista anche tale oggetto; e se niente in questo mondo può appagarli, e se una dottrina ti dice che vengono da quell’oggetto che hai presentito e di cui ti parlano, e così sono una risposta alla tua brama; e se quelli che hanno accettato quella risposta dicono che è soddisfacente; allora, Callista, non ti sentirai obbligata almeno a guardare quella soluzione, a esaminare ciò che ti hanno detto, e a chiedere il suo aiuto, se può darti la forza di credere in Lui?
- E’ ciò che mi diceva una mia vecchia schiava - commentò improvvisamente Callista -... Qual è il vostro rimedio, il vostro oggetto, il vostro amore, o maestro cristiano?...
Cecilio tacque un momento, come se non trovasse la risposta. Alla fine disse:
- Ogni individuo si trova nella tua situazione. Purtroppo, non amiamo l’unico amore che dura per sempre.
Noi amiamo le realtà che passano, che finiscono. Dato che le cose stanno così, colui che dovremmo amare ha deciso di riportarci a sé. Per questo, è venuto in questo mondo, sotto forma di uomo. E sotto questa forma umana, ci apre le braccia e cerca di farci tornare a Lui, nostro Creatore.
Questa è la nostra fede, questo è il nostro amore, Callista...
- È il solo che ama le anime - disse con foga Cecilio - ed ama ciascuno di noi come se fosse l’unica persona da amare. È morto per ciascuno di noi come se fossimo l’unica persona per cui morire. È morto su una croce obbrobriosa. “Amor meus crucifixus est”. L’amore ispirato da Lui dura per sempre, perché è l’amore dell’immutabile. È un amore che appaga perfettamente, perché è inesauribile. Più ci avviciniamo a Lui, più entra in noi; più abita in noi, più intimamente lo possediamo... Ecco, perché è così facile per noi morire per la nostra fede, tanto da stupire il mondo... Perché non ti avvicini a Lui? Perché non lasci le creature per il creatore? .
Sì, la separazione dal creatore, che mette il creato al posto di Dio, questa è “la profonda ferita della natura umana”, quella ferita di cui il mondo si gloria ma che minaccia la caduta del mondo. Eppure il mondo, simile a un bambino piagnucoloso che allontana dalla sua bocca la medicina necessaria per la sua guarigione e
mena colpi alla sua mamma che gliela porge, non solo rifiuta il rimedio per la sua ferita mortale, ma arriva persino a perseguitare il datore del rimedio. Sì, sono i cristiani che sorreggono il mondo, con la loro comunione in Cristo, la loro santità, il loro vivere nel mondo senza appartenere al mondo, col dare tutto per amore di Cristo, disposti a perdere tutto pur di restare con Lui, in una parola, seguendo colui dal quale hanno ereditato il proprio nome. Sì, malgrado le forze contrarie, i cristiani - avendo Cristo nel cuore - sorreggono il mondo, non a guisa di una fascia che stringe insieme una ferita, ma come un nutrimento e una cura attenta che aiuta la ferita a guarire dal di dentro.
Conclusione
Riprendiamo ora la domanda che ci siamo posti all’inizio: hanno i cristiani di tutti i tempi e di tutti i luoghi qualcosa in comune, nome a parte? Teniamo presente ciò che abbiamo considerato come la base per la risposta a questa domanda, cioè la chiamata universale alla santità. Abbiamo visto che questa santità non consiste in fenomeni straordinari o in atti eroici. Sia la Lettera a Diogneto che i sermoni di Newman ci hanno mostrato la maniera con cui questa santità viene vissuta: nel distacco dal mondo che è il risultato dell’amore e dell’attaccamento al Cristo e, tramite questo, nella partecipazione alla salvezza di Cristo che sorregge il mondo. Perché, come abbiamo visto, la profonda ferita del mondo è la separazione da Dio e la santità è la comunione con Dio. La chiamata alla santità è, dunque , una chiamata per aiutare a guarire la ferita del mondo, e questo è ciò che i cristiani di tutti i tempie di tutti i luoghi hanno in comune.
I cristiani sono coscienti di tutto questo? Siamo noi consapevoli di ciò a cui siamo chiamati? “Temo in
effetti”, afferma Newman, “che molti uomini, benché professino e rispettino la religione, hanno ancora nozioni di basso profilo del loro stato di cristiani. Essere cristiani è uno dei più grandi e meravigliosi doni nel mondo” (PS III, p. 298).
Sr. Kathleen Marie Dietz FSO

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