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Sono morta di buon umore

Creato il 14 gennaio 2015 da Salone Del Lutto @salonedellutto

L’altro giorno sono stata a Rivoli. Ci sono andata perché al castello, Museo d’arte contemporanea c’era MAdRE… E volevo assolutamente vederla. Prima però abbiamo fatto dell’altro, percorrendo insieme gli spazi dedicati al disegno nelle sue varie declinazioni, esposto nell’altra mostra, Intenzione manifesta e di Sophie Calle abbiamo guardato, rapiti e insieme, Voir la mer, video-installazione che l’artista introduce così: «A Istanbul, una città circondata dal mare, ho incontrato persone che non l’avevano mai visto. Li ho portati sulla costa del Mar Nero. Sono venuti a bordo dell’acqua, separatamente, gli occhi bassi, chiusi, o mascherati. Ero dietro di loro. Ho chiesto loro di guardare verso il mare e poi di tornare verso di me per farmi vedere questi occhi che avevano visto il mare per la prima volta». Un’idea forte, potente, che restituisce sentimenti e poesia allo stato puro, e che sembriamo non stancarci di cogliere in quei volti adulti su cui si iscrivono delle espressioni a tratti infantili. La pura gioia. Lo stupore.

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Ma siamo lì soprattutto per MAdRE e così oltrepassiamo velocemente le sale che separano la 18 dalla 21, l’inizio della mostra. Magicamente ci separiamo, come a dire che ognuno di noi si vivrà quest’esperienza intima solo con se stesso. Ad accogliermi è una parola, souci, l’ultima parola pronunciata dalla madre della Calle e che come un’ossessione accompagna il visitatore nelle altre sale. La prima volta è composta da farfalle, ma poi la ritroveremo ricamata sui pizzi che separano una stanza dall’altra, fatta di piume, impressa su pannelli di varie forme e colori. Ne vous faites pas des soucis sono state le ultime volontà di una persona che stava morendo. E questa persona si è chiamata, in successione, Rachel, Monique, Szyndler, Calle, Pagliero, Gothier, Sindler. Era la madre dell’artista. Amava che si parlasse di lei. E morì il 15 marzo del 1986.

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Sophie Calle non l’ha fatto abbastanza o non l’ha fatto del tutto, quando sua madre era in vita. E ha iniziato a farlo nel momento più difficile, più traumatico, quello del trapasso, che è filmato nel video Pas pu saisir la mort (incapace di cogliere la morte). Una donna stesa nel letto, un bouquet di fiori arancioni, un pupazzetto di una mucca pezzata a farle la guardia. Le mani e i bisbigli dei familiari. «Il 15 marzo 2006, alle 15.00, l’ultimo sorriso. L’ultimo respiro tra le 15.02 e le 15.13. Inafferrabile». Monique se n’è andata così, senza fare rumore. E senza fare rumore la osservo mentre scompare, mentre diventa un’ombra.

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Le sale sono ricchissime di suggestioni. Ne parlerei per ore. Ma vi invito ad andare, a cogliere le vostre. A vedere con quanta delicatezza, quanta profondità, quanta consapevolezza l’arte possa restituire al pubblico un tema intimo, quasi un tabù. Mi soffermo, però, su alcune cose, su alcuni scritti che mi hanno colpita. Fatto pensare. Anche sorridere. Il primo è uno scritto che riporta gli ultimi desideri di una donna che sa. «Monique voleva vedere il mare per l’ultima volta. Martedì 31 gennaio siamo andate a Cabourg. L’ultimo viaggio. L’indomani, “per andarmene con i piedi in ordine, l’ultima pedicure. Ha letto Ravel di Jean Echenoz. L’ultimo libro. Un uomo che stimava da molto tempo è venuto a trovarla al suo capezzale. L’ultimo incontro. Ha organizzato le esequie: l’ultima festa. Ultimi preparativi: ha scelto il vestito per il funerale – blu scuro con dei motivi bianchi –, una fotografia in cui fa una smorfia da mettere sulla lapide e l’epitaffio: Mi sto già annoiando! Ha scritto un’ultima poesia per la cerimonia di sepoltura. Ha voluto il cimitero di Montparnasse come unico domicilio. Non voleva morire. Ha detto che per la prima volta in vita sua non era impaziente. Ha pianto per l’ultima volta. Nei giorni precedenti la sua morte continuava a ripetere: “È strano. È stupido”. Ha ascoltato il concerto per clarinetto in La maggiore, K 622 di Mozart. Per l’ultima volta. Il suo ultimo desiderio: andarsene accompagnata dalla musica. Le sue ultime volontà: “Non preoccupatevi”. Souci è stata la sua ultima parola».

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Poi c’è il contenuto della bara. Perché Monique s’è portata dietro un mondo di oggetti, di legami con quella che è stata la sua vita terrena. Tra questi, cose alte, come il primo volume di Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust o il libro Spinoza et le spinozisme, che aveva iniziato a studiare un mese prima della sua morte, cose intime, come le foto dell’uomo della sua vita, dei suoi figli, di suo fratello e di alcuni amanti, ma anche le gelatine di frutta di cui andava matta, della vodka, del rhum e del whisky che tanto apprezzava…

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Ancora, poi, un’altra bara, una teca di vetro contenente tutti i suoi diari, diari che Monique ha scelto di non distruggere e che Sophie ha letto pubblicamente nel 2012, all’Église des Célestins di Avignon, per la prima e unica volta. Una lettura durata 22 ore. Tra le pagine, emerge questa annotazione: «Sono morta di buon umore».

Oggetti, ricordi, desideri esauditi. E poi vicinanza. E amore. Perché questa mostra non è altro se non la testimonianza di un amore grandissimo, che non si esaurisce con la morte ma prosegue, si rinsalda, proprio come questa mostra è iniziata con un video e ha iniziato ad attrarre altri oggetti, pensieri, suggestioni. E che è diventata anche un libro bellissimo, esso stesso un’opera d’arte. Che sono felice di possedere.

di Silvia Ceriani
Le foto sono mie, e ho poco da vantarmi.

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La mostra MAdRE di Sophie Calle a cura di Beatrice Merz è visitabile fino al 15 febbraio 2015.


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