Morì a Parigi, nell’appartamento di Avenue Mandel, il 16 settembre 1977, venne da molti imputato a suicidio. Acquisizioni tardive sulla sua affezione da dermatomiosite (patologia degenerativa che provoca il cedimento di muscoli e tessuti) ha indotto i foniatri Franco Fussi e Nico Paolillo (2011) a imputare a tale malattia il rapido declino vocale e da ultimo l’insufficienza cardiaca di cui parlò il referto di morte. La subitanea cremazione senza autopsia celò per sempre la verità. Il funerale sontuoso, le liti sull’eredità fra marito e sorella (ma a guadagnarci di più fu forse la segretaria factotum degli ultimi anni, l’amica pianista Vasso Devetzi, che fece da intermediaria fra i due), il trafugamento delle ceneri dal cimitero parigino del Père-Lachaise, il loro presunto ritrovamento – c’è chi sospetta che le vere ceneri siano sepolte a Sirmione, nel giardino della casa in cui Meneghini trascorse gli ultimi anni di vita – e la loro simbolica dispersione nel Mar Egeo (3 giugno 1979), tutto contribuì ad arricchire il mito post mortem, che trascende l’angusto mondo del melodramma di tradizione per elevare Callas a vera icona dei tempi moderni (specie nella comunità gay): testi teatrali come The Lisbon Traviata di Terrence McNally (1989), film come Philadelphia di Jonathan Demme (1993), opere liriche come Jackie O di Michael Daugherty (1997) ne danno viva testimonianza, confermando quanto ebbe a scrivere John Rosselli (Il cantante d’opera, Bologna 1993, p. 12): «Le ondate di erotismo sollevate dalle incisioni discografiche della Callas sono ancora avvertibili a tanti anni di distanza». (Treccani)
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