Il 24 giugno non è solo il quarto giorno dell’estate ma anche il giorno di San Giovanni. Il Santo in questione non lo sa, ma la sua festa coincide con il solstizio d’estate e con la raccolta delle noci per la preparazione del nocino.
Credo non abbia bisogno di presentazioni, ma agli astemi che non sanno cosa si perdono, dirò che il nocino è un liquore dal sapore intenso, che sa di zucchero amaro tostato al sole e caffè che pizzica la gola. Chissà poi da dove arriva quel retrogusto di caffè.
Per fare il nocino servono innanzitutto ottime e grandi noci. Ogni anno a casa mia si rinnova l’attesa della raccolta e la corsa per prenotarsi in tempo ed esserci in questa o quella campagna: la scelta delle noci è fondamentale.
Mamma e papà ne selezionano 25, prendono quelle noci belle grandi, verdi e acerbe che spaccano in quattro parti prima di lasciarle caramellare al sole insieme allo zucchero dentro un’anfora di vetro verde, alta e panciuta. Serve metodo, costanza e buongusto, anche estetico. E sì, a casa mia il nocino è diventato un rito meticoloso: per due giorni papà sale più volte sulla terrazza a smuovere l’anfora per mescolare noci e zucchero; trascorsi i due giorni, aggiunge nell’anfora 200cl di acqua e 1l di alcol e poi riporta su il tesoro di noci, zucchero e tutto il resto. L’anfora così piena resta sulla terrazza per quaranta giorni di passione sotto al sole. In tutti questi anni ho sempre pensato che San Giovanni se la riderebbe di gusto a vedere i miei così indaffarati, e gli piacerebbe concedersi un goccino di quell’amaro di noci raccolte nel giorno della sua festa.
Durante i quaranta giorni, dopo pranzo papà prima asseconda la sua abitudine di vedere Beautiful, e poi sale sulla terrazza a smuovere noci, zucchero, acqua e alcol. E così trascorre un mese e poco più, e dopo averlo filtrato aspettiamo ancora sei mesi per far riposare il nocino di San Giovanni in una dispensa né troppo soleggiata né troppo scura.
Attendere sei mesi per preparare un amaro è una cosa meravigliosa. In mezzo anno succede di tutto e il nocino è lì, a prendersi tutto il tempo che gli serve per dare il massimo. È un’attesa impaziente, curiosa, interrogativa, succulenta: fino alla fine non si sa mai se il nocino di quest’anno sarà più o meno buono di quello precedente.
Scaduti i sei mesi, papà versa il nocino nelle bottiglie da regalare agli amici, donare ai figli e tenere in dispensa per sé e per gli ospiti. Il nocino di San Giovanni è un po’ l’emblema dell’attesa: della raccolta delle noci, del loro caramellarsi al sole, del riposo nella penombra e dell’imbottigliamento dell’amaro.
In quel generoso sorso dopo pasto è racchiuso l’amore per i frutti della terra, l’ospitalità dei miei genitori e il rispetto della lentezza che, come in questo caso, crea cose speciali.
Altro che Fernet Branca: per me, sopra a tutto, ci sta il nocino di San Giovanni.