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Da Centostorie

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di Ferdinando Vaselli – ill. Dido
Sinnos – p.80 – e.10

Negli ultimi tempi si fa un gran parlare del quartiere romano di San Basilio. Le cronache hanno accostato l’area periferica della capitale alla tristemente nota Scampia partenopea. A noi è tornato in mente un bellissimo testo di qualche anno fa edito dalla Sinnos.
Si trattava in origine di uno spettacolo, nato all’interno di alcuni laboratori teatrali realizzati nelle scuole del quartiere, che è poi stato trasformato in un romanzo breve. Racconta di una classe multietnica come ce ne sono tante nel nostro Paese. L’appello è fatto di cognomi inzeppati di consonanti e le grida dei ragazzi sono piene di pregiudizi presi in prestito dai grandi sui rom, i negri e i laziali! Dove tutti ce l’hanno un po’ con tutti: i pachistani con gli indiani e gli indiani con i pachistani; i polacchi coi russi e i russi coi polacchi; quelli delle case occupate con quelli dell’Ater e viceversa; ma tutti proprio tutti ce l’hanno con i cinesi “perché non parlano una parola di italiano anche se stanno qui da dieci anni, perché stanno dappertutto, perché puzzano di fritto, perché comprano i negozi, perché portano l’aviaria e se magnano i cani e i gatti e tutto quello che je capita sotto mano!“. Ovvero la fiera dei luoghi comuni di cui i grandi si riempiono la bocca e i ragazzi ripetono a memoria. Saranno come sempre una partita di pallone e una gita sul pullman a mettere i ragazzi seriamente seriamente in discussione, dissolvendo pregiudizi e reciproche paure.
Non si tratta però di un libro buonista: c’è tanta cattiveria gratuita e tanta vita vera. La discriminazione fa piangere lacrime amare chiusi nel bagno. La maestra non fa altro che gridare che la scuola non è un mercato. Le mamme si raccomandano di non togliersi la sciarpa durante la gita. E come sempre capita, la vita vera, vista da vicino, ci strappa anche un sorriso. Come quando il protagonista Marko, bosniaco, segna il gol risolutivo della partita, e si sente la bambina più bella della classe gridare: “Ah Marco colla k, sò la tua Ilary!“.


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