Venerdì ho visto al cinema “I segreti di Osage County”; sabato, a casa, ho visto “Rachel sta per sposarsi”, un film del 2008.
Che stanchezza, gente, che stanchezza. Le due pellicole sono diverse ma molto corali e prendono il via da una riunione di famiglia: il funerale del padre, il matrimonio della primogenita. Tantissimi dialoghi, diverbi, recriminazioni. Si alza la voce, ci si interrompe, si rivanga, si piange e ci si manda a cagare in continuazione. Meno di 2 ore caduno, e alla fine ero esausta, a riprova che la mia concentrazione è andata a ramengo da quando ho finito gli studi, ho cominciato a lavorare da dipendente e a ragionare per compartimenti stagni (=spento il pc, spenta la testa). Ma soprattutto da quando mi avvalgo di social network nazional popolari fonti di informazione fruibili in modo discontinuo, superficiale, parcellizzato e sintetizzato in 140 caratteri, anziché tenere il culo incollato alla sedia e la testa curva su saggi di centordicimila pagine.
Che inferno, gente, che inferno. L’idea con cui ti alzi dalla poltrona è che la famiglia sia la fiera del risentimento, del senso di colpa, della gelosia, del giudizio gratuito, del non detto. Ciao ciao, nido, calore, accoglienza, affetto incondizionato. Di rispetto, manco l’ombra. Genitori disfunzionali: in un caso ammalati, suicidi, drogati, nell’altro semplicemente freddi e ipocomunicativi. Intorno, figlie infelici, rancorose, pronte a rinnegarsi a vicenda. Delle sorelle-non-sorelle.
Che sforzo, gente, che sforzo. Per me, figlia unica, capire che cosa significa avere sorelle. Io sono una figlia unica, molte delle mie amiche sono figlie uniche. Non mi ricordo di essermi sentita penalizzata o aver mai chiesto ai miei genitori di farmi un’altra bambina. Quando andavo delle mie amiche che avevano sorelle, mi sembrava affascinante quel loro dividere l’armadio, quel tiranneggiarsi e coprirsi reciprocamente. Poi, però, tornavo ad una casa dove non dovevo discutere e dove c’era una mamma tutta per me, che sapeva cosa volevo ancora prima che lo dicessi.
Che peccato, gente, che peccato. Io ero bambina, mica lo sapevo com’era dura tagliare il cordone ed emanciparsi dalla famiglia. Mica potevo immaginare come un passato da figlia unica condiziona il tuo futuro di adulta. Non aver mai veramente battagliato per avere attenzione ti porta a pensare che l’empatia e la comprensione siano dovute. Non condividere ti rende eccessivamente indipendente, responsabile. Maschile, per certi versi. Avere una sorella t’insegna a fare fronte comune contro i figli dei vicini di casa maneschi, i matusa tiranni, i maschi crudeli. La sorella è un altro modello femminile, che non è tua madre ma a cui vuoi bene uguale. La sorella partecipa con te al processo di inversione dei ruoli, quando i genitori si rincoglioniscono invecchiano, diventano fragili e bisognosi di attenzioni. Non pensavo di arrivare a dirlo, ma adesso vorrei tanto una sorella.
Per quelle poche anime pie cui interessano le mie critiche, due parole sui film.
-Nel cast di “I segreti di Osage County” ci sono Meryl Streep (un po’ fuori dalle righe durante i deliri da psicofarmaci, ma potrebbe essere colpa del doppiaggio), Julia Roberts, Juliette Lewis, Ewan McGregor (anche se poteva non esserci, visto che, se l’avessero vestito a fiori si sarebbe ben mimetizzato con la tappezzeria), quindi fare un brutto film era abbastanza difficile: infatti, è bello. Si vede che è l’adattamento di una piéce teatrale, perché i dialoghi soverchiano gli eventi. Onnipresente e fondamentale, la famigerata afa estiva delle praterie americane, vero e proprio anxiety booster. La mia delusione è stata Abigail Breslin, che ai tempi di Little Miss Sunshine aveva 10 anni, era bruttina, simpatica e tenera. Adesso ne ha 18 ed è solo bruttina.
-Rachel si sforza di essere protagonista del suo giorno: ha riempito la casa di parenti, amici e musicisti, per dimostrare che a lei vogliono tutti bene. Sposa un ragazzo di colore, perché -ovviamente – lei non ha pregiudizi. Tutti la lodano, la sostengono, la ammirano per la sua saggezza e tenacia. Per mantenere la scena, sgancia anche un paio di bombe: “Tra l’altro ci trasferiamo alla Hawaii”, “Ah già, sono pure incinta”. Ma se io fossi stata un’invitata, mi sarei infilata nel giardino sul retro a fumarmi una canna con Kym, la sua egocentrica sorella tossicodipendente. Sorry, ma son fatta così.