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Speciale Bronte: Wide Sargasso Sea, il prequel di Jane Eyre

Creato il 14 agosto 2011 da Alessandraz @RedazioneDiario
La straordinaria storia della prima Mrs Rochester, la pazza moglie piromane del capolavoro di Charlotte Bronte Jane Eyre. 
Speciale Bronte: Wide Sargasso Sea, il prequel di Jane Eyre Jean Rhys, (vero nome Ella Gwendolen Rees Williams), autrice di Wide Sargasso Sea (1966), non può essere insignita di un primato di novità, nella scrittura di questa pre-istoria o pre-testo di un altro famoso romanzo: Jane Eyre di Charlotte Brontë (1847). 
Una illustre antesignana di nome Mary Cowden Clarke, curatrice, tra l’altro, della concordance delle opere di Shakespeare, con il suo The Girlhood of Shakespeare’s Heroines (1850-1851), aveva operato su Cordelia ed Ofelia, tanto per citarne un paio, una sorta di psicoanalisi regressiva. Aveva immaginato e registrato sotto forma di romanzo, la vita, fin dalla nascita, delle future protagoniste dei drammi del Bardo: le vicende familiari e personali che ne avrebbero ipoteticamente determinato il carattere, le scelte e il destino. Successivo di molto (è del 2004) un altro romanzo di Bianca Pitzorno, La bambinaia francese, prenderà spunto dal romanzo della maggiore delle tre sorelle Brontë
Speciale Bronte: Wide Sargasso Sea, il prequel di Jane EyreTuttavia, l’opera di Jean Rhys si avvicina maggiormente al tipo di operazione fatta da Cowden Clarke, con l’aggiunta di un tratto forse inconsciamente - ma non troppo - autobiografico: la scrittrice era infatti nata in Dominica nel 1890 e si era trasferita in Inghilterra all’età di sedici anni (dove sarebbe morta nel 1979). Per autobiografico non si intende naturalmente la totale aderenza della personalità dell’autrice a quella della protagonista Antoinette: colei che diventerà Bertha Mason, la pazza Bertha Mason, prima moglie di Edward Rochester, rinchiusa a Thornfield Hall nel romanzo della Brontë. L’autobiografia è latente nella lacerazione inevitabile che un soggetto subisce quando abbandona un luogo di origine, per trasferirsi in un altro totalmente diverso; lo è anche nella sensazione di mancanza di appartenenza ad un luogo ben preciso, nel passaggio dal mondo in “technicolor” della Dominica a quello in bianco e nero dell’Inghilterra dei primi anni del Novecento. Non è solo una ipotesi, quando ci si riferisca a Jean Rhys: l’autrice, che aveva velleità artistiche, passò infatti molta della sua esistenza da bohémien, vivendo ora a Londra, ora a Parigi, rasentando persino la miseria. Come avrà fatto dunque Antoinette Cosway a trasformarsi in Bertha Mason? 
La storia del romanzo è quella narrata in prima persona da lei stessa, ragazza giamaicana che insieme alla madre, vedova (invisa perché procace bellezza della Martinica), al fratellino Pierre (cagionevole di salute) e alla domestica Christophine, vive le prime conseguenze dell’abolizione della schiavitù (siamo intorno al 1833). Le sfumature psicologiche e storiche sono direttamente proporzionali a quelle dei colori della pelle: in famiglia sono “più bianchi” degli indigeni ma non sono comunque “i bianchi”, i colonizzatori per eccellenza. Al verificarsi di questa svolta nella configurazione già delicata del colonialismo, ed neanche agli albori di quello che sarebbe stato il post-colonialismo, a rimetterci non sono più gli ex “padroni” britannici, che hanno sfruttato la situazione per poi tornarsene in patria: si scatena una guerra “tra poveri dove le famiglie di “proprietari di seconda generazione”, impoveriti, spesso meticci, ibridi per origini ed appartenenza, devono subire la rabbia - legittima, ammettiamolo - e la vendetta dei connazionali di “pura razza giamaicana”
La servitù di casa Cosway abbandona “la nave”, la madre di Antoinette si risposa con il ricco inglese Richard Mason, ma la pressione che le viene fatta per trasferirsi in Inghilterra la porta alla pazzia. La sua infermità si acuisce soprattutto dopo la morte di Pierre, durante il rogo appiccato dagli ex schiavi ribelli, che li costringe ad abbandonare la propria casa in fiamme. La donna, ormai insana di mente, viene affidata alle cure (dubbie) di persone del luogo, mentre il fratellastro di Antoinette, una volta che la ragazza è cresciuta ed è stata istruita in un monastero, le combina un matrimonio di interesse con il figlio cadetto di una famiglia inglese (che sapremo poi essere l’Edward Rochester di Jane Eyre). L’interesse è a favore di coloro che ancora non sappiamo siano i Rochester: è infatti Antoinette a portare la dote, ereditata dal patrigno Mason, mentre la contropartita ottenuta è solo la rispettabilità del nome della famiglia del marito. A questo punto del romanzo, cambia per un poco la voce narrante: è il punto di vista di Edward a parlarci. 


Rimane ammaliato dalla natura giamaicana, quasi ebbro degli odori e dei sapori di quella terra; rimane altresì ammaliato dalla sensualità intrinseca, passionale ma mai volgare o esplicita della moglie (come purtroppo abbiamo visto non essere quella di Antoinette in una delle trasposizioni cinematografiche del libro). Come successo precedentemente al patrigno della ragazza, anzi in maniera esponenziale, il giovane si sente stretto nella morsa di quella terra che sente non appartenergli. Ne è stregato, ma anche estraneo. E’ adirato col padre e col fratello: scrive loro una lettera dove dice di essere stato una vittima sacrificale, immolata per sanare le necessità economiche della famiglia. Cresce la sua intolleranza, verso la moglie, verso quei luoghi, verso gli indigeni, verso l’atmosfera rarefatta della superstizione e dei riti che indubbiamente permeano l’aria che lo circonda. Arriva a cacciare Christophine, l’unica persona cara rimasta vicino ad Antoinette, e per sfregio arriva a tradire la moglie con una servetta scaltra. I sospetti, l’odio ed il rancore nati senza apparenti ragioni, crescono a dismisura dopo che Edward viene contattato da un uomo di colore che dice di essere il fratellastro illegittimo della moglie, e che sparge veleno sulla famiglia di lei, soprattutto sulla madre. 
Speciale Bronte: Wide Sargasso Sea, il prequel di Jane Eyre Il romanzo torna successivamente al punto di vista della protagonista. Cresce il disagio di Antoinette, disprezzata e maltrattata dal marito: rischia di finire come la madre, non si alza quasi dal letto, vaneggia. Rochester, che non accetta la superstizione ancestrale tipica delle persone del luogo, è in realtà più ottuso e superstizioso di loro: non capisce di essere la fonte del disagio e della sofferenza della moglie, e crede che Antoinette stia diventando pazza come la madre. Oltretutto l’ha ribattezzata Bertha, ed in questo modo, oltre a toglierle il patrimonio, simbolicamente l’ha anche espropriata della sua identità, fino a costringerla a seguirlo in Inghilterra: è una evidente metafora del rapporto colonizzatore/colonizzato. E’ il destino di individui privati della propria terra ed anche della propria identità, forzati a modi di vita che non sono loro propri. Prima di partire la ragazza visita la sua cara Christophine: questa le darà una pozione, che lei ha inizialmente chiesto per far riavvicinare Edward, ma che non sapremo mai esattamente quali ingredienti contenga e se siano da ascrivergli le successive azioni operate da Antoinette. 
La terza ed ultima parte del romanzo inizia con il testo di una lettera, della quale è autrice Grace Poole, incaricata di sorvegliare Bertha (il suo nome appare anche in Jane Eyre quindi non abbiamo più dubbi sulla relazione tra i due testi). La donna sta scrivendo ad una collega che fa parte dell’entourage della servitù rimasta in casa Rochester: sono stati mandati via tutti i servi ed il padrone di casa ha assunto lei per controllare la moglie; la donna scrive chiaramente di non fidarsi dello stato semi-incosciente di Bertha: molte chiacchiere che aleggiano intorno a quella “strana” donna. Oltretutto, guarda caso, è una straniera. Ora è Antoinette (voglio chiamarla rispettosamente con il suo vero nome) a non trovarsi a suo agio: “Ho sempre saputo che il loro mondo (si riferisce agli inglesi n.d.t.) fosse fatto di cartone”, pensa. 
Torna a parlare in prima persona Antoinette che racconta del viaggio in nave per raggiungere quell’Inghilterra “che non esiste, quella terra lontana che lei conosceva solo attraverso il filtro di racconti e libri. Cosa succede dunque ad Antoinette? Non può, giocoforza, che trasformarsi nella Bertha che abbiamo visto in Jane Eyre: rinchiusa e sorvegliata, parla di una donna presente nella casa (capiamo che è Jane) ed è subito un ritorno al passato, anzi al suo futuro, la parte che avrà nel romanzo di Charlotte Brontë. Eppure, stavolta ci torna dal suo punto di vista, non più da quello di Jane. Elusa la sorveglianza della Poole, una notte (che noi onniscienti e conoscitori del romanzo nato un secolo prima sappiamo essere la notte dell’ incendio di Thornfield Hall) comincia a vagare per la casa, ma ce lo racconta come fosse un sogno ricorrente
“C’erano varie candele sul tavolo e io ne presi una e salii la prima rampa di scale e la seconda. Arrivata al secondo piano gettai via la candela. Ma non rimasi a guardare. Salii l’ultima rampa e attraversai il corridoio. Oltrepassai la stanza dove mi avevano portato ieri o il giorno prima. Non ricordo. Forse era tanto tempo prima poiché mi sembra di conoscere bene la casa. Sapevo come sfuggire al calore ed alle grida, perché ora c’erano anche delle grida…”.[1] 
Nonostante riesca a scappare, si brucia la mano con la quale si faceva scudo contro il calore, durante il suo vagare. Ecco, il gioco è fatto: Antoinette si è trasformata definitivamente in Bertha, la pazza incendiaria, la moglie da nascondere e da rigettare. Quella che nel romanzo della Brontë ci si rivela essere Bertha Mason e prima moglie di Rochester, solo quando l’avvocato del fratellastro impedisce il matrimonio tra lui e Jane. Antoinette, nelle vesti di Bertha, ormai, esce all’esterno, sui bastioni (quindi capiamo che non si tratta di una casa ma di una tenuta, di un maniero anzi ormai sappiamo che è Thornfield Hall). Fa’ freddo, voci che la chiamano mentre lei rivede come in uno stato ipnotico la sua bambola, il luoghi della sua infanzia, il libro con il ritratto della Miller’s Daughter (era attraverso questo quadro famoso che si era fatta l’idea di come una giovane inglese composta dovesse acconciarsi, in opposizione ai suoi vestiti discinti e solari). Sente di nuovo la voce del pappagallo che appena vedeva passare uno straniero chiedeva in francese “Chi è là?”, morto nel rogo della sua casa natale. La “coazione a ripetere” un rogo: un rogo provocato da altri ai danni della sua casa, ed un rogo che lei ha appiccato per distruggere quella casa che non sente sua. Poi, ci dice di essersi rimessa a letto, silenziosamente; Grace Poole, che aveva sentito gridare, ora sta russando e lei, come per un circolo vizioso, una never ending story ciclica, si rialza, riprende la candela e, mentre ripete il suo percorso, si brucia nuovamente la mano…


Speciale Bronte: Wide Sargasso Sea, il prequel di Jane EyreLa ciclicità, lo stato di semiveglia, non sono solo espedienti che accompagnano lo stato d’animo disturbato di Antoinette: sembrano volerci indicare il viaggio all’indietro tra il prequel Wide Sargasso Sea al seppur anacronistico sequel Jane Eyre. Un viaggio intertestuale, ma anche e soprattutto autoreferenziale e meta-letterario: non è infatti soltanto un dialogo tra i due testi, bensì un omaggio alla letteratura, che riflette su se stessa e si specchia in molteplici opere. I libri, la carta dei quali sono fatti: la carta di cui sembrano fatti i cristalli di neve, il bianco delle pagine, i paesi colonizzati che nella patria dei colonizzatori venivano spesso conosciuti solo attraverso racconti o libri di avventure; e lo stesso valeva, come abbiamo visto, per Antoinette, per l’immagine che gli abitanti dei paesi colonizzati avevano dell’Inghilterra. Il Paese “altro” non sembra esistere, se non sui libri, ed in questo caso, se non ci fosse stato un libro che avesse dato voce in prima persona alla terribile Bertha, avremmo avuto solo la versione di Jane Eyre: solo il suo punto di vista anche esso in prima persona e quello, riportato, di Rochester. Leggiamola, una parte del racconto del viaggio verso l’Inghilterra, fatto da Rochester in Jane Eyre
“La portai dunque in Inghilterra. Fu un viaggio pauroso, con quel mostro sulla nave. E mi sentii felice quando finalmente potei condurla a Thornfield e la vidi sistemata al sicuro nella camera del terzo piano (quel terzo piano di cui ci ha raccontato Antoinette nella citazione precedente, notiamo), nel bodoir segreto di cui ha fatto da dieci anni la tana di una belva…”[2]

In un processo equo, quando anche immaginario, devono essere sentite entrambe le parti. I personaggi di Charlotte Brontë sono già di per se stessi pure creazioni della scrittrice; con l’avvento poi di una nuova opera, come Wide Sargasso Sea, la virtualità letteraria si raddoppia e prende vita da una sorta di ricostruzione genealogica delle origini di Bertha e del suo malessere. Nei processi per i crimini più efferati vengono istituite perizie psichiatriche per i colpevoli (o presunti tali); nella formulazione delle condanne si tiene conto delle attenuanti relative a torti e violenze subite nel corso della vita e dell’infanzia (spesso purtroppo anche con troppa benevolenza). Ad Antoinette/Bertha, piromane solo sulla carta e donna strappata alle sue origini, alla bellezza suggestiva della sua terra e soprattutto donna non amata, Jean Rhys ha fatto da perito d’ufficio: le ha dato voce e ci ha regalato un romanzo di rara sensibilità.
NOTE
 [1][Trad. di Roberta Maciocci da Jean Rhys, The Complete Novels, Wide Sargasso Sea, WW. Norton & Company, New York-London, 1985, p. 573-574.
[2] Tratto da Charlotte Brontë, Jane Eyre, Oscar Classici Mondadori, Milano, 1996, p. 364 


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