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Speciale Gli Equilibristi

Creato il 12 settembre 2012 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Pubblicato il 12 settembre 2012 con Nessun Commento

Presentato alla 69ma edizione del Festival di Venezia nella sezione Orizzonti, sarà nelle sale dal 14 settembre.

La crisi di coppia, la crisi del sistema, la crisi intima di chi affronta il fallimento di una vita apparentemente stabile e tranquilla. Gli Equilibristi, l’ultimo film di Ivano Di Matteo, affronta tutte le sfumatura dei sentimenti dell’uomo comune e le debolezze della classe piccolo borghese, incapace di arginare la pressione della crisi economica che inesorabile travolge e lentamente divora. Alla bravura interpretativa di Valerio Mastrandrea e di Barbara Bobulova il compito non facile di restituire al pubblico le emozioni realistiche dell’uomo e della donna della porta accanto, vinti e travolti dai loro stessi limiti. Una scappatella innesca il corto circuito, ribalta gli equilibri di una famiglia qualsiasi “normale molto normale” – come sostiene lo stesso regista – che deve fare i conti con un divorzio che non si può permettere. L’analisi di micro cosmo per raccontare la società di oggi, attanagliata dalla precarietà; che sia nei sentimenti, nel conto in banca, nella professionalità, nella vita di tutti i giorni in generale. Il film di Ivano Di Matteo è una commedia drammaticamente amara che accende i riflettori sulla fragilità del tempo in cui viviamo, sulla difficoltà dell’individuo di restare in “equilibrio”.

La frase del film: “l divorzio è per i ricchi, quelli come noi non se lo possono permettere’”

La recensione
Spesso il cinema italiano viene giustamente accusato di essere poco innovativo o noioso quando si addentra nel voler raccontare storie di umana e quotidiana desolazione, e regala allo spettatore sempre lo stesso cotè di immagini e situazioni cariche che girano frenetiche attorno allo stesso asse narrativo, il più delle volte liso.
A una breve occhiata sulla carta anche questo “Gli Equilibristi” di Ivano de Matteo pare non sfuggire a quell’insieme di cliché che arricchiscono spesso le boriose fila delle smanie autoriali nostrane, che vorrebbero essere di matrice sociale ma in realtà solo narcisistiche e opalescenti, e che solo del male possono fare al cinema italiano. Sulla crisi e il precariato si potrebbe stilare una filmografia davvero notevole, cresciuta in maniera rapidissima nel giro di qualche anno, ma poche sono poi davvero le opere che vanno salvate perché riescono raramente nel difficile intento di raccontare in maniera completa una storia senza scadere nel facile qualunquismo o nella retorica a getto continuo.
Onore a Ivano De Matteo, quindi, che riesce a dribblare in maniera matura le trappole che si innescano nel terreno impervio dello spaccato sociale e riesce in maniera sapida e asciutta a raccontare una storia senza facili sentimentalismi.
A causa di un tradimento, forse consumato per noia, Giulio è costretto a lasciare la sua famiglia, composta di una bella moglie e due figli. Ma non è solo il nucleo affettivo quello che inizia a venire meno, quanto la stessa identità borghese: poco a poco Giulio sprofonda in una spirale di degrado e povertà che appare simile a un inferno dai connotati danteschi.
Di Matteo con estrema umiltà raccoglie la lezione di De Sica e Zavattini di Umberto D. e dipinge con colori plumbei la discesa agli inferi di un uomo comune, privato di qualsiasi appiglio verso una sopravvivenza. Con la cadenza propria del registro tragico, il film mostra le varie tappe di questo degrado intimo e allo stesso tempo universale perché il destino caduco del protagonista riflette quello di un intero paese, e lo fa con pochissime concessioni al sentimentalismo, prediligendo uno sguardo austero e motivato.
Puntellato dalle ottime musiche di Francesco Cerasi, il film ha il suo punto di forza nelle splendide e composte interpretazioni di tutti gli attori con in testa un misurato e intensissimo Valerio Mastandrea: i suoi sguardi attoniti, la sua fisicità che si trasforma dall’inizio alla fine della pellicola, e l’intensità con cui si cala in un personaggio apparentemente classico ma in realtà molto sfaccettato, rimangono indelebilmente scolpiti nella memoria dello spettatore. Così come, del resto, il film.

A cura di Katya Marletta e Gabriele Marcello


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