La Sardegna sembra correre a passo deciso verso una nuova “fusione perfetta” con Roma. Difficilmente il Partito democratico sardo avrà la forza di contrastare il disegno di Matteo Renzi che, riformando il titolo V della Costituzione italiana, finirà per affossare definitivamente la specialità della Sardegna attribuendo allo Stato importanti competenze in materia di ambiente, territorio, energia, infrastrutture ed enti locali. Oltre alle doglianze del presidente della Regione Francesco Pigliaru riportate qualche mese fa dalla stampa isolana, anche in questi giorni si sono nuovamente registrate delle vibrate lamentele bipartisan. L’ultimo grido d’allarme è quello di un autorevole esponente del centrodestra, Mauro Pili, che dopo aver difeso per anni l’indifendibile indifferenza di Berlusconi per la nostra regione, oggi con Unidos si batte (giustamente) contro la cancellazione della specialità sarda.
Resta impercettibile ai più, invece, la voce di quel partito che un tempo è stato il partito di Emilio Lussu e Camillo Bellieni ma che in questi anni ha decisamente perso lo smalto dei tempi migliori finendo addirittura per consegnare allo stesso Berlusconi la bandiera dei Quattro Mori, in un gesto che per l’opinione pubblica isolana ha simboleggiato la resa della Sardegna ai diktat della politica romana.
Difficilmente potrà poi incidere sulla questione specialità il variegato e ancora scollato panorama indipendentista sardo (che considera quella autonomistica una battaglia da superare). Nè quello cosiddetto sovranista.
Il partito più forte, quello del 41% per intenderci, deciderà tranquillamente a Roma la cancellazione della specialità sarda e la Sardegna ubbidirà. Come sempre.
La specialità della Sardegna
Ma la specialità della Sardegna, conquistata, è bene ricordarlo, con il sangue speso in guerra dai combattenti della Brigata Sassari, non sarà cancellata con l’ennesima riforma costituzionale calata dall’alto.
La specialità sarda è stata già cancellata dai politici sardi che – al di là delle parole di circostanza – in questi anni non hanno saputo difendere gli interessi, la storia e la cultura della Sardegna né a Cagliari, né a Roma, né a Bruxelles e Strasburgo. Che hanno sempre detto che lo Statuto sardo doveva essere riscritto, senza peraltro mettersi mai d’accordo sul come farlo, ma non hanno mai cercato di attuare concretamente i suoi principi informatori.
Nel 1847 i politici, i notabili e i borghesi sardi avevano promosso una mobilitazione popolare per chiedere al re sabaudo Carlo Alberto la fusione con i domini “continentali” del Regno di Sardegna, tradendo il popolo perché in realtà cercavano in Continente soltanto potere, soldi e successi personali. Con l’annessione al regno di Carlo Alberto Renzi, si consumerà invece un lungo tradimento durato in tutti questi anni in cui la politica dei mangiucchi e delle raccomandazioni ha prevalso sulla cura degli interessi della popolazione.
Oggi, come ieri, la maggior parte di politici e notabili continua a difendere il potere e i privilegi mentre la maggior parte dei sardi non ha un lavoro dignitoso per mandare avanti la famiglia e quasi non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena. Quei pochi (e ci sono, per fortuna) che provano a scardinare un sistema malato vengono sistematicamente messi a tacere.
In tutti questi anni la Sardegna avrebbe potuto difendere la sua specialità con l’aiuto di una classe dirigente seria, capace e autonoma da Roma che, invece di pensare al proprio tornaconto, avesse pensato al bene dei cittadini e avesse utilizzato per lo sviluppo le tante risorse economiche a disposizione. Le cronache giudiziarie purtroppo ci stanno dicendo continuamente il contrario: applicando pedissequamente il principio di uguaglianza (e non quello di specialità), i nostri politici si sono dimostrati esattamente come tutti gli altri.
Se non ci sarà un cambio di marcia e una presa di coscienza generalizzata, tra poco l’unica specialità della Sardegna saranno soltanto le sebadas, le pardule, i dolci sardi di mandorle e i culurgionis di patate. Ottimi prodotti tipici da salvaguardare e proteggere con marchio Dop e Igp, ma purtroppo non spendibili politicamente per rivendicare i propri diritti con il Governo centrale.