No, niente Varadero, naturalmente. Però bisogna prendere atto del fatto che a Cuba c’è anche il mare. Ed è molto bello.
Cuba è altro, certo, ma ci sono anche le spiagge, bellissime. All’inizio, pianificando il viaggio a Cuba, avevamo pensato quasi di escludere completamente il mare, ci interessava altro. Ma la tentazione di scoprirlo era troppo forte e così al mare siamo tornati più volte con un unico punto fermo, evitare la zona più turistica in assoluto, quella di Varadero.
Piccola nota per gli esperti di Cuba: non è una guida definitiva, sono le tre spiagge che abbiamo visto in un viaggio di due settimane con tutti i limiti che questo può comportare. E’ la nostra esperienza, tutto qua. Era il luglio 2013 e a Cuba tutto può cambiare molto in fretta, o rimanere sempre uguale a se stesso nei decenni. Per ora, a giudicare da quello che si legge, le cose sono ancora più o meno così.
La strada per Cayo Las Brujas
Questo cayo (isoletta), non lontano da Santa Clara e dalla splendida Remedios, è attaccato a Cayo Santa Maria (in linea d’aria anche a Cayo Coco, ma la strada per arrivarci è molto più lunga). Abbiamo scelto Cayo Las Brujas per due motivi, il primo è che non avremmo dovuto fare grandi deviazioni: sono cento chilometri (circa due ore di viaggio). Il secondo è che era uno dei pochi posti dove è possibile pernottare economicamente senza pacchetti ‘all inclusive’. Il posto è comunque ugualmente assurdo, e ce ne accorgiamo subito, quando si imbocca la strada artificiale che porta all’isola, costruita su un terrapieno. L’asfalto, anche se si incontrano immancabili deviazioni, buche, tratti in riparazione, è in condizioni eccellenti — cosa che accade solo su alcune strade per turisti, a Cuba — e si incontra subito un posto di blocco, dove un poliziotto annoiato controlla i nostri documenti. La motivazione per questa verifica è semplice quanto triste: quasi tutti i cayo sono proibiti ai cubani che non vi lavorano. Sicuramente i cubani hanno problemi assai più gravi con i quali lottare tutti i giorni. Ma che Paese è quello che proibisce l’accesso ad alcune zone ai suoi stessi cittadini? E’ una sensazione sgradevole che a Cuba si prova molto spesso: i turisti e in generale gli stranieri hanno accesso a tutto, mentre i cubani vivono una vita separata in cui non hanno nulla o quasi.
La strada per Cayo Las Brujas (foto di Patrick Colgan, 2013)
La strada per cayo Las Brujas. In teoria in queste lagune si dovrebbero incontrare anche fenicotteri rosa. In luglio però non ne abbiamo visti (foto di Patrick Colgan, 2013)
La strada per cayo Las Brujas (foto di Patrick Colgan, 2013)
Il nostro potente mezzo (foto di Patrick Colgan, 2013)
Nuvole nere si annidano sul mare e sulle isolette che vediamo in lontananza e speriamo si dissolvano o cambino direzione. Vediamo i fulmini e le strisce nere della pioggia che scendono sul mare. Queste nubi, queste tempeste sembrano, da lontano, giganteschi mostri che camminano su lunghe zampe nere. I fulmini cadono sul mare, sembrano vicinissimi. Sembra una scena de La guerra dei mondi. Poi veniamo investiti dalla tormenta, violentissima. Acqua ai lati, acqua sopra di noi, navighiamo a vista aggrappati a una stretta striscia di asfalto. Qui in estate i temporali sono brevi, ma frequenti. E anche un po’ paurosi.
Arriviamo al nostro hotel Villa Las Brujas (l’unico), che è mezzo deserto. E ha l’aspetto pesto e fradicio di qualcuno che ha ricevuto un’enorme secchiata d’acqua in testa. Veniamo accolti nell’ufficio con cortesia, ma anche la solita indolenza e lentezza che si respira negli alberghi (quasi tutti statali). Abbiamo prenotato su un sito spagnolo che non avevamo mai usato, un po’ titubanti. Le prenotazioni su internet a Cuba sono rare (perché di fatto è appannaggio di pochi) e c’è sempre un margine di incertezza, ma è tutto a posto. Il nostro bungalow è un po’ logoro, ma si affaccia direttamente sul mare: uno spettacolo vedere qui il tramonto. Anche se è il momento preciso nel quale dalla vegetazione si levano minacciosi plotoni di zanzare.
La spiaggia di Cayo Las Brujas (foto di Patrick Colgan, 2013)
La spiaggia è un’infinita mezzaluna bianca, lunga chilometri, il mare è cristallino. E’ la classica spiaggia caraibica adornata di palme, un sogno. Peccato che se ti allontani un po’ dall’albergo a piedi incontri sporcizia e rifiuti qua e là: un po’ restituiti dal mare, un po’ evidentemente abbandonati nella sabbia. E chissà da quanto.
Cayo Las Brujas (foto di Patrick Colgan 2013)
Cayo Las Brujas Immancabili nuvoloni e quello che potrebbe sembrare un condor, chido però aiuto agli esperti. Cos’è? (foto di Patrick Colgan, 2013)
L’albergo ha anche un centro diving (incredibilmente è chiuso il lunedì). Ma non c’è solo quello: propone anche una bella escursione in motoscafo fra le mangrovie (nel senso che ogni partecipante guida il suo motoscafo personale biposto, con sprezzo del pericolo totale), fino a un relitto incagliato sul reef. Molto turistico, ma anche un po’ avventuroso, folle ed è davvero uno splendido giro per scoprire un po’ di più come è fatto il cayo.
Cayo Las Brujas (foto di Patrick Colgan, 2013)
Per il resto la cucina dell’albergo è terribile, ma non mi lamento. Anzi, per me è meglio così: prendo le modeste porzioni di pollo o maiale con riso come i cubani (quando va bene) e mi fa sentire di certo meno in colpa che se fossi a ingozzarmi di aragosta. Cuba è così, regala grandi gioie, bellezze, anche umanità, ma ti fa sentire spesso in colpa. Lasciamo però perdere la cucina, di questo posto mi resterà il colore turchese del mare, ma soprattutto l’incredibile cielo stellato che si illumina quando scende il buio.
Un’immersione a Playa Ancòn
E’ in pratica la spiaggia di Trinidad, a pochi chilometri dalla città. Non è spettacolare come altre, ma è una gran bella striscia di sabbia con un mare cristallino. Ci si arriva con pochi chilometri di strade disastrate — si attraversa anche uno degli inquietanti passaggi a livello a vista’ — e si paga qualche cuc per le sdraio e un ombrellone: è la spiaggia di un albergo che sembra quasi deserto a parte qualche pallido turista nord europeo. Qui è bello godersi il mare, ma sfrutto anche l’occasione per fare un’immersione. La guida del centro diving locale (tutto musica metal e bandiere pirata) è un cubano tatuatissimo e molto simpatico. Si esce in barca e qui — in puro stile locale — ci si arrangia con quello che si ha. Non ci sono boe e per i punti d’immersione si va a memoria e basandosi con riferimenti sulla costa. La guida, in piedi sulla prua della barca dà indicazioni al timoniere: di qua, di là, un po’ più avanti… butta l’ancora! Andiamo a una ventina di metri a vedere un relitto, un peschereccio affondato qualche decennio fa: le acque cubane ne sono piene.
Playa Ancòn, foto di Patrick Colgan 2013
Playa Ancòn, foto di Patrick Colgan 2013
Da Viñales a Cayo Jutìas
A Cayo jutìas si arriva da Vinales. Il nome, non particolarmente invitante, fa riferimento a grossi roditori, simili a nutrie. Da Vinales la distanza è di soli 55 chilometri, ma come sempre a Cuba la distanza si misura in ore e non in chilometri: diciamo che ci vuole almeno un’ora e mezza, perché l’asfalto è in cattive condizioni — a tratti tremendo — e le indicazioni sono poche, illeggibili, incerte, tanto che sbagliamo strada, finendo su ponti che definire precari è un eufemismo fino a quando qualche cubano non ci avverte allarmato che dobbiamo tornare indietro. A Cuba succede abbastanza spesso ed è anche rischioso se non ci si accorge per tempo di aver preso la deviazione sbagliata. Si rischia di venir sorpresi dal buio se succede all’imbrunire. E di notte è davvero meglio non viaggiare su queste strade dove gira davvero di tutto e senza alcun riguardo per il codice della strada. L’ultimo tratto, per arrivare alla spiaggia, poi, è disseminato di crateri e si rischia davvero di sfasciare l’auto.
Cayo Jutìas, da Wikimedia (autore Ji-elle, creative commons 4.0 attribution-share alike)
Alla fine arriviamo a Cayo jutìas un po’ provati e veniamo accolti da grossi nuvoloni neri. La spiaggia è ritenuta da molti una delle più belle in assoluto. Ma siamo venuti nel giorno sbagliato per apprezzare il mare: è un weekend. E’ invece il giorno perfetto per vedere la gente del posto in un momento di relax. Perché Cayo jutìas è una delle spiagge aperte anche ai cubani e questo significa che è affollatissima e chiassosa. Sono stato ‘accontentato’ (e forse me ne sto pentendo). L’atmosfera di festa e la densità di gente è simile quella che da noi c’è in pratica solo a ferragosto nelle spiagge più affollate. Il massimo della vita per i cubani sembra bere alcolici a mollo in acqua. Ragazzi e ragazze sguazzano in mare con bottiglie di rum e lattine di birra Cristal, attorniati dai vuoti che galleggiano. C’è anche qualche fortunato con una radio dalla quale esce reggaeton a tutto volume. Non facciamo però in tempo a trovare un fazzoletto di spiaggia che si scatena un diluvio pazzesco e tutti si rifugiano sotto la tettoia del ristorante, enorme, ma al limite delle capienza.
Quando la pioggia si placa facciamo un giro di snorkeling con guida. L’acqua per qualche reazione chimica dovuta al diluvio è diventata di uno stranissimo colore verde bottiglia e quindi è una nuotata davvero stranissima fra piccole innocue meduse e formazioni coralline. Lattine galleggianti non ne vediamo più. Magari a fine giornata gli allegri bevitori le raccolgono, penso. Oppure, più probabilmente, il diluvio le ha sparpagliate o affondate vicino a riva.
Forse questa bella spiaggia non l’abbiamo vista al meglio, ma forse è la più vera.
Link utili
Cayo Las Brujas (foto di Patrick Colgan, 2013)