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Spiegare la mafia ai bambini? Pif lo fa

Creato il 10 dicembre 2013 da Lundici @lundici_it

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Una scena del film

Una scena del film

Non vado al cinema spesso. Non che non mi piacciano i film, anzi. Ma non sopporto che si parli durante un lungometraggio. Sono lì per ascoltare i dialoghi della pellicola, non le opinioni di sconosciuti in merito. Se avessi voluto ascoltarle gli avrei telefonato, chiunque essi fossero. Comunque, non vado al cinema spesso.

Ma c’è un film per cui ho sfidato la sorte. C’è un film per cui ho rischiato di dovermi innervosire per la gente che, come al solito, non sa tenere la bocca chiusa (che ovviamente c’è stata), e questo film si chiama “La mafia uccide solo d’estate”.

Io seguo Pierfrancesco Diliberto (in arte Pif, il regista e protagonista del film) sin dagli albori, da quando per Le Iene si fingeva leghista ai raduni di Bossi, Maroni, Calderoli & Co., o quando intervistava politici per poi interrompere le domande a metà. Ho visto tutte le puntate della sua fantastica trasmissione, “Il Testimone” su Mtv, e naturalmente “I cento passi”, in cui lavorò come aiuto regia. Va da sé che al suo debutto come regista non potevo certo mancare, non c’era disturbatore della quiete pubblica che potesse fermarmi.

E ne è valsa sicuramente la pena.

Grazie a Boris Giuliano, Arturo conosce le iris alla ricotta. Inizia a comprarle tutti i giorni, ma una mattina non può entrare in pasticceria perchè...

Grazie a Boris Giuliano, Arturo conosce le iris alla ricotta. Inizia a comprarle tutti i giorni, ma una mattina non può entrare in pasticceria perchè…

Solo a lui poteva venire l’idea di raccontare la mafia attraverso gli occhi di un bambino (che impersona lui stesso da piccolo), creando un parallelismo tra le stragi criminali di Cosa Nostra e le tappe della vita di un infante. E così si ha Arturo (il nome del protagonista) che viene concepito grazie ad una sparatoria tra mafie avvenuta all’interno dello stesso palazzo ove i suoi genitori, neosposini, amoreggiavano. Lo stesso Arturo che non può far sapere, da preadolescente, alla sua adorata Flora che la ama, perché il pezzo di marciapiede dove l’aveva scritto coi gessetti colorati è saltato per via dell’attentato a Chinnici. Lo stesso Arturo che poi conquisterà Flora, nel bel mezzo dei funerali per le stragi di via D’Amelio. Ogni tappa della vita del piccolo Pif è segnata da Cosa Nostra, e raccontata con un’ironia e una precisione alternata a una freddezza disarmante, che porta lo spettatore a ridere a crepapelle in un momento e a commuoversi in quello immediatamente successivo.

L’ironia dunque. Un’ironia che Pif non lesina a nessuno, mafiosi compresi. Così abbiamo un Badalamenti che, mentre fa a pezzi un cadavere, deve mangiare un panino «Altrementi mi cala ‘a pressiòne», o un Riina che non sa usare il telecomando del condizionatore d’aria, ma altri telecomandi sì. Ed è la stessa ironia che Pif usa per raccontare una questione ancora più grave delle stragi stesse: l’omertà. L’omertà della gente comune, di quella che ha paura di parlare.

Riina si fa spiegare come funziona il telecomando del condizionatore

Riina si fa spiegare come funziona il telecomando del condizionatore

E così il piccolo Arturo, tutte le volte che il notiziario annuncia una vittima di Cosa Nostra, si sente commentare dal barista, dal barbiere, dal vecchio, dal passante: «Chill’è muort par na femmena». E come può reagire un bambino? Chiaramente avendo paura delle bambine, perché portatrici di morte. E come può reagire quando scopre di essere innamorato di Flora?

Beh, le risate sono assicurate. E proprio con queste vicende, con la storia d’amore – di un bambino che diventa adulto – intrecciata alla storia di mafia, che Pif ricorda tutte le vittime, tutti gli oppositori di questa tremenda piaga sociale. Perché spiegare la mafia è facile, spiegarla a un bambino non lo è affatto. Ma Pif, in solo un’ora e mezza, c’è riuscito. Peccato che di bambini in sala non ne abbia visti.


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