Per i Giapponesi l’Onore e il Coraggio sono virtù imprescindibili.
E’ per questa ragione che essi hanno sempre trattato con crudeltà i prigionieri di guerra, non per le stesse folli ragioni dei nazisti, ma perché nella loro cultura chi si arrende perde l’Onore e manifesta viltà.
C’è un episodio, nella vita di Dacia Maraini, che ne parla tra l’altro in Bagheria, che esemplifica questa mentalità.
La sua famiglia si trovava in Giappone al momento dell’Armistizio. Gli Italiani si trasformavano, di punto in bianco, da alleati in nemici. Fu così che furono internati. Suo padre, Fosco Maraini, il grande etnologo, era lì in missione scientifica.
Il trattamento era durissimo, ai limiti della sopravvivenza, e Fosco, profondo conoscitore della cultura giapponese, in presenza dei carcerieri, si tagliò una falange della mano sinistra. Un gesto che faceva parte di un codice, col quale riacquistava l’Onore. Lo massacrarono di botte ma gli assegnarono una capra, col cui latte la sua famiglia riuscì a scampare alla morte per fame.
Ma per capire veramente l’anima tradizionale del Giappone, un’anima insidiata dal modernismo e dall’occidentalismo, su cui l’autore versa lacrime amare, vi invito a vedere i film di Ozu… e in lingua originale, è importante (con le didascalie, ovviamente, se non parlate giapponese).
Un gran popolo!
Certo c’è anche il rovescio della medaglia e se ne potrebbe parlare: la grande competitività, da cui dipende l’alta percentuale di suicidi, soprattutto fra gli studenti che falliscono agli esami di ammissione alle più prestigiose università, un rapporto di fedeltà aziendale che in Italia verrebbe considerato pazzesco e penalizza l’interesse del singolo lavoratore rispetto a quelli dell’azienda. Una cosa che si può capire solo facendo appello, pur in una società fra le più moderne ed evolute tecnologicamente, a quella tradizione, a quella vena sotterranea cui facevo riferimento sopra.
E poi c’è una cosa che mi affascina: un erotismo raffinatissimo di cui troviamo espressioni non solo nel cinema, ma nella letteratura, nella pittura, persino in una pornografia che ha caratteri originalissimi.
Yasujiro Ozu è stato il più grande regista cinematografico giapponese ed oggi è universalmente riconosciuto come uno dei Maestri dell’arte cinematografica.
Ma la diffusione delle sue opere fu a lungo osteggiata dalle autorità del suo Paese, troppo tradizionalista, troppo legato, sia sul piano estetico sia sul piano culturale a un universo nipponico giudicato difficilmente comprensibile a noi Occidentali.
Lo si voleva proteggere, non lo si voleva esporre… e non si voleva esporre l’Arte giapponese, al giudizio di una critica e di un pubblico “profani” che non gli avrebbero reso giustizia e ne avrebbero potuto macchiare l’ONORE.
Come siamo diversi. Il cinema è uno dei più efficaci veicoli di diffusione della nostra cultura. Quanto ha contribuito il cinema alla conoscenza dell’American way of life o della società italiana del dopoguerra. Il Neorealismo… anche se Andreotti (molto giapponese) storceva il naso, è diventato una nostra bandiera.
Fu un grande intellettuale francese, Robert Brasillach, il primo a parlarne in Occidente e a diffondere la conoscenza delle sue opere al di là dei confini nipponici. Da noi è arrivato più tardi, è sconosciuto al grande pubblico, che preferisce il “western” alla Kurosawa, ed amato da una ristretta cerchia di cinefili.
Oggi i Giapponesi riconoscono che Ozu Yasujiro (prima il cognome poi il nome, come usano loro) ha portato e continua a portare grande ONORE alla loro nazione.
“NIPPON BANZAI!!!”
Federico Bernardini
Illustrazioni: I ”Trentasei vedute del monte Fuji - Viaggiatori attraversano il fiume Oi” (Katsushika Hokusai)
II Yasujiro Ozu
III “Shibari”