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Sport e università: un problema irrisolto in Italia

Creato il 07 dicembre 2012 da Olimpiazzurra Federicomilitello @olimpiazzurra

Oxford, Cambridge, Eaton; e ancora Yale, Harvard giusto per citare le maggiori: Università famose, dove la pratica sportiva va di pari passo con lo studio. Niente di tutto questo accade in Italia dove invece lo sport sembra visto come il fumo negli occhi. I CUS (Centro Sportivo Universitario), storiche organizzazioni legate agli atenei e presenti in tutte le città universitarie, organizzano tornei e gare fra università oltre ad offrire convenzioni e facilitazioni agli studenti: ma non è nulla di paragonabile a quanto negli Stati Uniti e in Inghilterra.

Del resto quello della pratica sportiva in Italia è un problema che pare non interessare troppo la classe politica, visti anche i ripetuti attacchi che subiscono le ore di educazione fisica nelle scuole, con proposte che provengono da più parti circa la loro abolizione: qualora ciò accadesse (anche se per come è organizzata adesso, l’ora di ginnastica a scuola è più una ricreazione allungata che una vera e propria attività sportiva), si commetterebbe un errore assai grave. Una prima ricaduta si avrebbe proprio sul movimento sportivo in generale: è chiaro che i campioni non si formano nelle palestre scolastiche, ma un’ora di ginnastica ben fatta potrebbe dare le basi perché i ragazzi possano approcciare in modo concreto a un’eventuale pratica sportiva che, perché no, potrebbe poi sfociare in una futura e luminosa carriera. Inoltre, e questo è un aspetto tutt’altro che da sottovalutare, ci sarebbe una grave ricaduta anche dal punto di vista educativo, dal momento che lo sport è una vera e propria scuola di vita, oltre che  veicolo di insegnamento di valori quali rispetto delle regole e dell’avversario.

In questi giorni, Mauro Berruto, ct dell’italvolley maschile, ha rilasciato a La Stampa interessanti dichiarazioni sul tema sport e salute: secondo Berruto infatti, una maggior propaganda sportiva potrebbe essere propedeutica a una notevole riduzione dei costi gravanti sulla sanità pubblica italiana, dal momento che diminuirebbero i casi di gravi problemi tanto fisici (cardiologici  e finanche onocologici) quanto psicologici (inedia ma anche disturbi della personalità); nonché, aggiungerei, potrebbe in buona parte risolvere i problemi legati al bullismo e alla delinquenza giovanile, potendo dare una valvola di sfogo a moltissimi bambini e ragazzi.

Se guardiamo, non senza un pizzico di invidia, gli esempi che vengono da Stati Uniti e Inghilterra, c’è poco da stare sereni: in questi paesi, come nella quasi totalità del mondo anglosassone e non solo, la pratica sportiva è parte integrante dell’insegnamento. Si prenda il caso di due storici college inglesi, la cui rivalità si esplica, oltre che a livello prettamente accademico, proprio in campo sportivo: parliamo ovviamente di Cambridge ed Oxford, la cui annuale sfida di canottaggio (come del resto l’accesissmo versity match di rugby) si perpetua da oltre un secolo. A titolo puramente di cronaca, moltissimi giocatori britannici di rugby professionisti, sono laureati e la loro carriera sportiva si è perfettamente intrecciata a quella studentesca, in modo tale che una volta appesi gli scarpini al chiodo, per loro si potrebbero schiudere le porte di un’altra carriera, che può essere quella di avvocato (ad esempio Toby Flood, apertura della nazionale inglese), di medico o altre ancora a seconda degli studi compiuti.

Negli Stati Uniti ha invece sede la più grande organizzazione sportiva universitaria del mondo: parlo della National Collegiate Athletic Association (NCAA), la quale si fa carico di organizzare l’intero movimento a livello universitario promuovendo campionati che in alcuni sport hanno un seguito incredibile e dai quali sono poi usciti moltissimi giocatori di punta dei campionati NBA e NFL, giusto per rimanere sugli sport più seguiti: infatti basket e football sono solo la punta dell’iceberg di un’organizzazione che gestisce e organizza campionati di atletica, calcio, hockey, lacrosse, pallavolo, scherma, tennis e tanto altro. Senza contare che la stessa NCAA non è l’unica organizzazione di questo tipo, anzi essa subisce la concorrenza della National Association of Intercollegiate Athletics (NAIA). Gli eventi di maggior spicco hanno inoltre abbondante copertura televisiva in Patria così come all’estero (ad esempio le partite del campionato NCAA di basket e football sono trasmesse anche in Italia e presumibilmente in tutto il mondo).

E in Italia?  Purtroppo, come detto sopra, il nostro paese è in totale antitesi ai modelli anglosassoni: i campionati organizzati dai vari CUS sono poco se non nulla reclamizzati e non escono dalla dimensione locale. Inoltre spesso e volentieri le due carriere, quella di sportivo e quella di studente universitario, sono tutt’altro che compatibili e anzi i ragazzi sono posti davanti a un bivio: o la scuola o lo sport e molti, giustamente mi sia permesso di dire, preferiscono all’incertezza di una carriera sportiva, perlomeno la certezza di un titolo di studio spendibile in futuro. Quanto al modo per risolvere il problema, ci vorrebbe anche qui in Italia un associazione modello NCAAA, ma al momento tutto questo pare utopia.

 

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OA | Alessandro Gennari

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