Nella sintesi (possibile) di un decennio eccessivo come quello degli anni ’80, ci si troverebbe senza difficoltà a riaffermare i triti feticci – mai dimenticati dalla glorificata memoria collettiva – da inserire nell’ipotetica lista: il cubo di Rubik, l’italo disco, i paninari, i primi videogiochi ed i Duran Duran.
Proprio questi ultimi rappresenta(ro)no, come ha sottolineato un nostalgico giornalista, la filosofia spiccia che animava la realtà musicale del tempo: un gruppo costituito da giovani, belli e famosi che scalano le classifiche mondiali ed entrano maldestramente nella storia della musica con un singolo d’impatto, “Wild boys”. Il bizzarro momento storico fu ritratto – con tutte le esuberanze immaginabili – da un instant book manifesto di una non-generazione, il cui pregio principale fu di essere stato redatto da una sedicenne, Clizia Gurrado, che utilizzo sin dal titolo una chiara dichiarazione d’intenti: “Sposerò Simon Le Bon”.
“La quindicenne Clizia vive con il fratellino ed i genitori a Milano, dove frequenta il liceo Berchet. E’ infatuata di Simon Le Bon, capo indiscusso dei Duran Duran ed insieme alle compagne Rossana ed Elena non fa che collezionare dischi e fotografie del divo idolatrato. Mentre Elena è corteggiata da Cody ed il giovane Alex comincia ad avere una qualche presa sul cuore di Clizia, giunge la notizia che i Duran canteranno in Italia, per il Festival di San Remo”
A dare un’idea dello status di cult a cui questa pellicola è assurta negli anni, si consideri che nel 1996 il fenomeno mediatico Ambra Angiolini interpreterà un film (“Favola” diretto da Fabrizio De Angelis) che ne è un omaggio dichiarato, fin dal prologo straordinariamente simile all’originale. Non lodevole in quanto bello, ma certamente prezioso per ciò che rappresentò al tempo, l’opera di Cotti gioca la carta facile facile della messa in scena dei personaggi descritti dalla Gurrado, coadiuvato da un cast tutto figli di che di peggio non si può: Federica Izzo, Luca Lionello, Gianmarco Tognazzi… Il tutto risulta in fondo smaccatamente naïf, godibile ed ingenuo.
Un trancio di torta sociologico senza pretese, da assaggiare ogni tanto per non dimenticarne mai il sapore.