Mi ci sono voluti 37 anni per capire che l’istinto narrativo mi arriva tutto da mia madre e, più in generale, da quel ramo della famiglia. Loro sono dei grandi affabulatori orali: io purtroppo non ho questo dono. Le mie storie spingono per uscire dalle mani, ma ogni volta che mi trovo ad un pranzo di famiglia rimango incantata da quello che loro riescono a tirar fuori dalla bocca.
E mi innamoro, mi emoziono, mi sbudello dalle risate e mi ispiro: ogni sacrosanta volta succede qualcosa, ogni incontro è un’inseminazione narrativa.
Ieri sera ci siamo trovati per una cena senza motivo, e ho ascoltato di quando negli anni ‘70 – senza essere mai usciti dal paese prima di allora – hanno fatto 14 ore di treno per andare a Salerno al giuramento di un fratello: un esilarante migrazione al contrario, con tutti gli incidenti linguistici del caso (“quello lì ha detto che dobbiamo camminare sempre dritto in groppa al marciapiede”).
Oppure di quando andarono a Venezia in dieci e, senza muoversi dalla banchina, persero cinque traghetti – guardando la gente arrivare ed andarsene – prima di capire che si saliva da un’entrata diversa rispetto a quella d’uscita: il traghetto arrivava, si svuotava, si caricava e se ne andava, e loro sempre lì, fermi e interdetti con i loro zaini e tutti per mano per non perdersi, senza capire come uscire da quella situazione.
Ho sentito la malinconia delle giornate in Lomellina, raccogliendo riso senza nemmeno sentire il tempo che scorreva: perché si cantava, e cantando la sera arrivava veloce.
Per non parlare dello scandalo delle collant e delle minigonne, i fidanzamenti lampo, i mesi delle gravidanze che non tornavano, il potere delle sentenze delle levatrici, le scarpe comprate sempre di tre numeri in più per farle durare molti anni, gli equivoci del corpo: una mia zia negli anni ’40 corse da sua madre dicendole, disperata e in lacrime, che si era ferita giocando perché perdeva sangue dalle gambe (in realtà erano le prime mestruazioni).
Spremeteli i vostri vecchi, finchè potete, perché sono i custodi di una felicità che non conoscerete mai: non perdetevi le loro storie, non lasciategliele portare nella tomba. Stuzzicateli, fate domande, stimolateli: quello che vi possono raccontare del mondo dal quale arrivate non è sostituibile con niente. Proprio niente.
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