Spunti di vita 5
Creato il 08 aprile 2014 da Marvigar4
« Personalmente non m’attirava l’idea di entrare al Rouge encre, anche se me lo consigliarono come un posto dove passare una serata eccezionale.
Fuori dall’ingresso sentii un pianoforte suonare la quinta Polacca di Chopin. Alle due del mattino m’accorsi d’essere solo e quella musica mi portò lontano, a un pomeriggio della mia infanzia, seduto a gambe incrociate ascoltando davanti al grammofono l’esecuzione impetuosa e malinconica dello stesso brano da parte di Artur Rubinstein. Dovevo spalancare la porta del Rouge encre, non avevo alternative, mani sconosciute m’invitavano là dentro ricreando la melodia dei miei ricordi. Il bistrot era quasi deserto, ma l’ospite più illustre non sedeva da nessuna parte, non s’appoggiava al banco per parlare con un avvenente barman, perché la protagonista incontrastata della sala immensa era la cappa di luce blu che dominava lo spazio. Non mi chiesi se avesse un’origine. Vidi il pianoforte come un’isola nera, e una ragazza dai gesti indolenti terminare il pezzo che mi aveva adescato. Stavo già con lei, dalla mia entrata fino al suo corpo vicino ai miei occhi erano trascorsi pochi secondi, non ritenevo concepibile niente di così fulmineo. Girandosi verso di me la bella pianista carezzò i suoi capelli neri, quelle dita affusolate si muovevano autonomamente con grazia per donare al suo tatto un’ebbrezza che non conoscevo.
- Allora? Ti piace Chopin? A me saltuariamente… in alcune opere lo trovo indulgente, sembra un’anima che va sbiadendosi a contatto con l’esistenza… qui invece, nella Polacca in fa diesis minore, Chopin provoca se stesso, mette a repentaglio tutta la sua arte gettandosi, muove una vera battaglia… Ascolta queste ottave ascendenti! -
Ripercorse le zone della composizione illustrando lo spirito che le animava, faceva sentire l’eco dei tamburi nella parte in la maggiore, accennava la mazurca del trio trasmettendomi una nostalgia infinita.
- Ho passato giornate intere a studiare questo brano, non intendevo suonarlo bene tecnicamente, volevo interpretarlo e riscriverlo come fosse una pagine di altissima letteratura! Sei comunque stato fortunato, hai udito la mia migliore esecuzione! -
- Perché? -
- Non posso, non posso… È inutile che tu cerchi di sapere, il mio proposito è stato raggiunto e adesso mi prendo la libertà di rinunciare al piano. -
- Dimmi soltanto, cosa c’entra questo locale con la tua ultima esecuzione? Qualcuno mi ha parlato del Rouge encre, e io pensavo di sentire del jazz… -
- Infatti, qui di solito viene eseguita della musica che non ha niente a che fare con Chopin. Mi spiace deluderti, ma non ho intenzione di rivelare il mio segreto. -
Nessuna ritrosia m’era parsa più dolce di quella della ragazza: negandosi lei concedeva tutta se stessa; e il modo delle risposte, la tenue vivacità che accompagnava il suo rifiuto secco… venne meno la mia voglia di conoscere, se un segreto esisteva dietro la decisione di smettere di suonare, qualsiasi tipo di segreto, io accettai di rimanere all’oscuro perché percepivo che così doveva essere.
Da quella notte iniziai a vivere per lei, furono molte le sere in cui mi recai nel suo appartamento, nella speranza che s’innamorasse completamente di me. Iniziammo anche a fare l’amore… per conquistare ognuno una parte dell’altro.
Violette si sdraiava sulle lenzuola bianche incantandomi con i suoi occhi, decideva lei dove condurmi, leggeva ogni mia trasformazione d’umore, ma non concedeva l’illusione dell’abbandono definitivo; mi sentii spesso ai confini del suo amore disperando come un folle alla fine di ogni rapporto fisico. Soffrivo, la tensione mi teneva vivo, se non mi trovavo con lei frequentavo qualcuno dei vecchi compagni: la solitudine perse i suoi lati positivi, che prima vivevo nella bellezza di una riflessione, nel piacere del tempo che doniamo a noi. S’affacciò invece la mia liquidazione, il mio impersonale disperdermi dappertutto, come quella cappa blu del Rouge encre.
Violette stava solo raggiungendo il culmine della sua relazione con me, mentre io non avvertivo quale fosse l’andamento di questa esperienza in comune, forse disponevo del mio corpo per offrirlo al gioco.
Giunse la sera del 9 aprile, sette mesi esatti dopo il mio primo incontro con l’ex pianista, e fu il nostro capolavoro erotico eseguito in un crescendo vorticoso. Finalmente apprezzai cosa significasse essere amati, riacquistai il mio io nell’intesa con lei, la mia antica passività era rimasta fuori della porta, la voce della disperazione fu obbligata al silenzio dalla mia vittoria. Non appena l’amplesso ebbe termine Violette confessò lentamente: – Avevo paura di non riuscirci, ma ora ti amo e nello stesso tempo ti dico addio, perché si conservi ciò che è successo stasera. Tu sei stato anche la mia tristezza, il rimpianto di non provare niente se non il tuo cedimento a me. Perdonami se ti lascio, ritrovarci non aumenterebbe la qualità della nostra unione… Mi ci è voluto molto per conoscerti, io insistevo nella ricerca del mio desiderio, e senza la tua disponibilità avrei mollato tutto subito, e mi sarei inflitta una punizione ammettendo la mia incapacità d’amare te. Come la Polacca di Chopin, io chiedevo a me stessa l’esecuzione migliore, l’attimo in cui saremmo stati ognuno la creazione reciproca… Hai ottenuto il mio amore strappandomi tutti gli strati di pelle che ho accumulato da quel giorno al Rouge encre, però solo stasera sono stata nuda con la mia vera epidermide! E da stasera svanirà tutto quanto: chi ottiene la perfezione si condanna al regresso, noi ci vedremo in un’orgia d’incoscienza illudendoci di riprodurre questo successo. No, non voglio affrontare la demolizione del sentimento conquistato insieme, preferisco lasciarti nel giorno più sublime della nostra avventura! -
Violette mi versò addosso il suo inferno, confessava quel segreto che si rifiutò di rivelare la sera in cui la conobbi, la condanna di una persona costretta ad agire secondo un ritmo interno, frutto di un guasto biologico o una cosa simile: sette mesi per nascere, poi sette mesi per ogni cosa che avesse un’importanza personale, durante i quali il suo organismo produceva costantemente e gradualmente una crescita attitudinale, fino al raggiungimento completo dell’obbiettivo… La mia Violette… »
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