di P. Verhoeven
USA 1997 - 129 min
con: K. van Dien; D. Richards; D. Meyer; M. Ironside; J. Busey
Sarcastico e arcigno, carnale quanto arguto nel manipolare stereotipi e generi, Paul Verhoeven, olandese trapiantato ad Hollywood (ma sarebbe più preciso dire "incistato", visto il carattere e l'irrequieto dimenarsi delle sue ossessioni), già dagli albori, diciamo da "Fiore di carne" (1973) in poi, aveva chiare un certo numero di cose: filare dritti al punto; mostrare tutto, facendo il funambolo tra provocazione e sacrosanta aspirazione ad osare, e azzardare sempre qualcosa sul versante della messinscena, accostare elementi in apparenza incompatibili (brutalità e rallentamenti melo'; sesso e inquietudini futuribili; legalismo rigido in ironico equilibrio su posizioni reazionarie e fremiti violenti abortiti ad un passo dall'esplosione) con scanzonato sprezzo del ridicolo, variando registro, insistendo sui dettagli, finendo, magari, fuori strada. Per dire (ed e' un pregio): non si s a mai cosa aspettarsi da Verhoeven.
In perfetta aderenza con queste premesse, si presenta - levigato, spiccio, come percorso da una reiterata scarica di ormoni, anti retorico e volutamente superficiale, quanto di fondo misogino, se non addirittura misantropo - questo "Starship troopers/Fanteria dello spazio", terza incursione nel "fantastico" (se si include nel novero anche "Robocop" del 1987) del cineasta di Amsterdam, sulle orme dell'omonimo romanzo di Robert A. Heinlein (1959).
A parte la gustosa/inquietante ? premonizione per cui un simil-corpo dei Marines e' presente anche nel futuro - sebbene in uniforme bruna, da cui, per antonomasia, traspirano afrori sinistri - che rimanda al sergente Hartmann di "Full metal jacket" (1987) ("Voi marines potete anche morire. Anzi, siete qui per questo. Ma il corpo dei Marines non morirà mai"), il film frulla in maniera accorta e allo stesso tempo franca e divertente, tutta una serie di suggestioni che vanno dalla fantascienza pre-effetti speciali con l'incubo dell'atomica e delle invasioni extraterrestri dei tardi anni'40 e degli anni '50, alla parodia dei cine-giornali propagandistici pre/post bellici, pre/post guerra fredda. Dalle stilizzazioni fumettistiche e semicaricaturali dei personaggi - l'eroe introverso ma altruista (van Dien), la bambola carrierista dagli occhioni blu (Richards), l'ufficiale tutto d'un pezzo motivatore di uomini (Ironside), il commilitone un po' giuggiola un po' spalla fidata (Busey) - alle truculenze ed ingenuità di vario genere care ai B-movie (le astronavi mastodontiche che si guidano come uno scooter; gli arti mozzati di netto; il sangue che spruzza dai corpi maciullati in battaglia; il cameratismo esagerato; i liquidi organici che imbrattano e appiccicano). Tutto al servizio di un montaggio serrato che non concede tregua, nemmeno nelle parentesi "riempitive" o sentimentali, con abilita giocate sul filo del cinismo e dello smacco.
Discorso a parte meritano gli alieni, ferocissimi quanto innumerevoli super insetti che da un remoto spicchio di universo insidiano l'ordine para- autoritario, beatamente conformista, del tutto artificiale, vigente in quello che dovrebbe essere un nostro potenziale riflesso futuro. Tra mega cimici che schizzano globi di plasma iridescente dall'ano, artropodi frenetici che mulinano zampe come sciabole o alabarde micidiali, fino - riecco lo humour rabelaisiano di Verhoeven - alla "mente" della razza, sorta di smisurata larva coronata di occhi e munita di bocca/vagina da cui all'occorrenza fuoriesce un aculeo articolato pronto a penetrare una testa umana e a succhiargli in cervello, il repellente si ibrida senza sforzo col grottesco, il gesto efferato corre spalla a spalla con la deformazione puerile, il rimosso strizza l'occhio ad un'inconfessabile pulsione al "cupio dissolvi".
Da ricordare - ma giusto per i filologi o i fissati (che spesso coincidono) -, "Starship troopers 2/Eroi della federazione" che con la sarabanda virtuosistica e il tono beffardo di Verhoeven spartisce solo l'autore dello script, Ed Neumeier.
TFK
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