Io che non faccio mai l’elemosina, non compro libretti di poeti africani, non mi faccio mettere in mano elefantini o braccialetti portafortuna, adotto le più raffinate strategie per non farmi lavare i vetri quando mi fermo ai semafori in circonvallazione, quando sento qualcuno che mi chiama capo o hey amico faccio finta di essere impegnato a una conversazione di lavoro al telefono, fuggo col carrello della spesa di fronte alle sciure della beneficenza da salotto che chiedono una sottoscrizione e nemmeno lascio che qualcuno me lo rimetta a posto, il carrello, prima di allontanarmi dal parcheggio del supermercato. Non mi faccio affibbiare abbonamenti all’acquisto di libri, dribblo con astuti giochi di gambe le bionde militanti delle associazioni ecologiste alcune delle quali vi giuro non ho mai ben capito che cosa facciano, non pago esibizioni musicali ambulanti in metropolitana né giocolerie con birilli e palline – l’evoluzione ripulita dei punkabbestia - agli incroci, e questi sono solo quelli che mi ricordo di avere incontrato nel corso di una giornata feriale completa trascorsa per lavoro a spasso in varie zone di Milano.
Dicevo che io che ho imparato a non farmi soverchiare da nessun questuante di nessun tipo, ieri non so perché ho regalato un euro e una manciata di centesimi che avevo in tasca come resto a un giovanotto dell’est che alle nove del mattino tracannava birra insieme a qualche suo sodale in Piazza Cadorna, nei pressi di casa sua. Inutile dire che casa sua erano un paio di trapunte e qualche straccio gettato in un anfratto sotto la copertura disegnata da Gae Aulenti antistante la Stazione Nord, tra una serie di sacchi a pelo di risulta degli altri senza dimora che condividevano con lui quella colazione inusuale.
Si è avvicinato e mi ha chiesto i soldi per un caffè, glieli ho dati e lui stupito mi ha abbracciato e baciato e si è profuso in mille ringraziamenti mettendomi in imbarazzo tra il fiume di persone che si stava riversando intorno a me nella metropoli. Convinto di trovarsi di fronte a un interlocutore interessato, mi ha fatto notare la sua sistemazione, tra spazzatura e avanzi di cibo raccattati chissà dove. E lì ho pensato a Expo2015, alla Smart City, alla città intelligente e evoluta che sarà il punto di partenza a cui la civiltà dovrà guardare per gli anni a venire, almeno fino alla prossima edizione dell’esposizione universale.
Ho pensato ai milioni di persone che arriveranno con il Malpensa Express e come prima cosa vedranno dei senza dimora di varie etnie passarsi il cartone di Tavernello per colazione, o forse chissà. Magari nel frattempo quel gruppo di forzati dell’outdoor urbano avranno maturato qualche problema al fegato e saranno ospiti di qualche struttura sanitaria pubblica. Pagheremo noi ma almeno chi visiterà Milano sarà accolto diversamente. Mi sono sforzato di ricordare la prima cosa che ho visto nelle città europee o americane che ho visitato ma non mi sembra di aver notato comitati di benvenuto del genere. Non che non ci siano, eh, chissà dove li nascondono, magari in strutture adeguate all’accoglienza per i poveri.
Lì a fianco, dove c’è il chiosco con le panchine in muratura, stazionava invece un gruppo di nomadi, quelli dai vestiti sgargianti, il più anziano del clan con una specie di cappello tirolese e una Dreher da 66cl in mano, a fianco di una donna oltremodo robusta che si è sfilata una pantofola, quindi il calzettone di lana e ha iniziato a pulirsi i piedi con le mani. Nel frattempo si è avvicinato un amico del tizio a cui avevo appena regalato i soldi per un caffè, attirato anche lui dalla straordinarietà del mio gesto, sapete come si dice, Milano con il cuore in mano. Lui invece in mano teneva due cornetti di una sottomarca Algida semisquagliati presi chissà dove, mi ha chiesto se ne volevo uno altrimenti sarebbe stato costretto a gettarli via.