Ho incontrato Stefano Bellin sul filo della poesia di Carlo Diano. E’ stata una bellissima sorpresa, perché Bellin, pur molto giovane, ha già una lunga vita alle spalle, fatta di studi di filosofia e di arte, di esperienze all’estero, di scrittura e di poesia. Quando mi ha mandato questi quattro testi ho deciso di pubblicarli sul mio blog perché ci sento una profonda consonanza con un linguaggio poetico che mi è familiare. Soprattutto è un linguaggio poetico non scontato e non frequente oggi. Classico nel senso del sostrato culturale da cui nasce, ma non invischiato negli schemi classicisti. Questo lo rende molto contemporaneo, perché traslittera e filtra un io arcaico in un io contemporaneo.
E’ un linguaggio limpido, asciutto, ma non semplificato. Tutto all’opposto. Perché i riferimenti sono complessi, le antere delle sue parole si spingono lontano e si intrecciano. Originale perché rifiuta la poesia modaiola e standardizzata che tanto piace oggi in Italia.
Ci sono mari viventi e fiori senzienti in queste poesie. In dialogo costante con un apeiron periechon che perde la sua minacciosità ma non il suo mistero.
Stefano Bellin (Vicenza, 1985) si è laureato in Filosofia all’Università di Padova con una tesi sulle ‘Teorie e pratiche della molteplicità’. Dopo aver lavorato al Museo d’Arte Contemporanea di Barcellona (MACBA) si è e trasferito a Londra per fare un master in Teoria dell’Arte Contemporanea alla Goldsmiths University. Nel 2011 ha cominciato a collaborare con l’organizzazione culturale Land in Focus e nel 2012 ha cominciato un dottorato in Letteratura Comparata al University College London. La sua ricerca si intitola ‘The Shame of Being a Man: Literature and the Outside’ e si concentra su Primo Levi ed altri autori contemporanei.
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Ci son tempeste,
guglie di mare
che l’umana corteccia
in arido gorgo
schiantano
Ma essa,
non roccia
non gentil sughero
che danza
sulla leggera spuma
come sperduto navio
alla scure luna
si frange
E ancora
le tenaci spoglie
tra cicale e salsedine
in sanguinoso grembo
si fan meriggio:
Nuova tremula ventura
Vecchia impavida paura.
*
POSIDONE
O nume,
ricco di pesci,
dimmi, perché mi tormenti?
Un occhio vale tanti pianti?
Come, ungendo gli scogli,
flutti e riflutti
Come il destino dei pesci
tutti in banco
e insieme unico argento
Come la sabbia risponde al vento
così,
lo sai,
è la mi vita.
Lasciami dunque
respirare il sole
e amare il vento.
Ondeggiando nei flutti
solo cerco di aggrapparmi
a un solido tronco d’olivo.
*
SENTIERI
Sdraiato
il cielo negli occhi
mi son perso.
Come?
Il cielo non ha sentieri?
Le fronde schivavano il vento
mi son girato
e non ti ho visto più.
Sarà questo il freddo?
Quattro piedi vennero da laggiù
ora ritornano
in due.
Soli, oltre il pianto,
si guardano:
sono tutto e sono nulla.
*
LA LEGGE
Compagni,
la guerra
è finita!
. disse un fiore
sopravvissuto
quando la macchina
tacque
nel campo.
Ma un onirico
bambino
saltellando
interrogava
il caso e la vita:
Rosso o bianco?
Finalmente
nudo
il papavero
si vergognò
del suo segreto.
(C) 2013 by Stefano Bellin RIPRODUZIONE RISERVATA