Il tempo che viviamo ci chiede di essere la guida di un radicale cambiamento della società umbra. crisi economica e sociale, unita ad un livello di intollerabile ingiustizia sociale e diseguaglianza ci impongono di dare risposte nuove alla evidente domanda di innovazione che viene dalle nostre comunità.
La straordinaria partecipazione dell’otto dicembre impone al PD di dare una risposta alla chiara volontà dei nostri iscritti, militanti ed elettori che ci hanno semplicemente chiesto di cambiare.
La nostra sfida è quella di dare un a vera e credibile risposta a questa domanda di cambiamento.
Se non avremo la forza o non troveremo il coraggio di cambiare, il Partito Democratico non sarà più riconosciuto come la guida politica della nostra comunità.
Il grado di autonomia del gruppo dirigente è dunque essenziale per ridare slancio al PD.
L’autonomia del partito è poi questione determinante anche in altra accezione: il partito va collocato nella società prima che nelle istituzioni. Il partito deve tornare ad essere un soggetto sociale che interloquisce positivamente con le istituzioni, ma non può sovrapporsi ad esse dialogando con la società dall’alto verso il basso. L’autonomia è inoltre decisiva sul piano dell’elaborazione politica e della garanzia di trasparenza dei poteri pubblici.
Un partito democratico e popolare ha infine l’obbligo di tornare a valorizzare, magari in maniera nuova, lo straordinario patrimonio della militanza politica. L’investimento a volte eccessivo sulle leadership tende a mascherare altri problemi. Oltre che di leadership c’è bisogno di una ricca e produttiva membership, altrimenti la democrazia, svuotata delle persone e della loro passione, diviene pura formale procedura, vestita di quando in quando di quei colori mediatici che sbiadiscono al primo sole o alla prima pioggia. A iscritti e militanti vanno attribuite nuove responsabilità e funzioni. Partecipare significa incidere nei processi decisionali, non solo alzare la mano o mettere la croce su un foglio.
Occorre che il PD curi con maggiore impegno il territorio, immaginando pratiche politiche innovative. Specie a livello di base, sono possibili e auspicabili esperimenti di democrazia deliberativa, in grado di coinvolgere tutti i cittadini interessati a dare un contributo civile prima ancora che politico. Il partito “aperto” è quel partito che non ha paura di allargare il campo dei decisori, ma- al contrario- fornisce concreti strumenti per includere coloro che intendono, anche un solo minuto della propria vita, dedicarsi al futuro della collettività. In tal senso, rete e territorio sono da pensare in modo integrato e non contrapposto o alternativo.
In ultimo, la rinascita dei partiti, quindi pure del PD, passa da un risveglio etico profondo. Non è questione di regole; è questione di integrità morale e opportunità. La correttezza dei comportamenti è base e malta della credibilità di un partito e del suo gruppo dirigente. Per essere chiari, e soprattutto concreti, si tratta di abbandonare le retoriche moraliste dagli scarsi effetti e applicare il criterio costituzionale dell’onorabilità del rappresentante politico.
L’Umbria deve coltivare l’ambizione di riscoprirsi un modello non solo per le altre realtà regionali, bensì per le diverse realtà europee che oggi è fondamentale sentire davvero vicine. Da questo punto di vista, più che un programma, serve un progetto. Un progetto che innanzitutto faccia forza su una diversa chiave di lettura del cammino futuro. Un’intera generazione di dirigenti politici, a cominciare dal dopoguerra, si è misurata con il “regionalismo”. Oggi una nuova generazione deve riprendere le fila del discorso per un ulteriore salto di maturazione del “regionalismo” stesso, che sarà utile alla società solo se sarà capace di cambiare identità e natura, come altre volte è successo. Infatti, nel lungo dibattito sui caratteri del “regionalismo umbro”, si è parlato negli anni di policentrismo e poi di Umbria plurale. Ancora ai nostri giorni si riflette sulle potenzialità dell’Umbria nell’Italia mediana. Policentrismo e Umbria plurale hanno impegnato, per la verità con profitto, tanti dirigenti della sinistra umbra. Tuttavia appaiono ora concetti superati, come sembra riduttiva pure una concezione che sviluppi le potenzialità umbre dentro i confini di una ormai sempre più differenziata Italia mediana.
Per uscire dalla crisi non solo a parole, per dare uno sbocco pragmatico alle speranze di ripresa e alle idee, per essere arbitri del nostro destino, un nuovo gruppo dirigente deve avere il coraggio di iniziare un nuovo cammino. Ci sono tutte le condizioni per disegnare “l’Umbria intelligente” (o Smart Umbria). Se qualche decennio fa l’Umbria era giustamente considerata il cuore verde dell’Italia, adesso deve sapersi trasformare nel cervello verde del paese. Una regione piccola e popolata da meno di un milione di abitanti ha le carte in regola per diventare un unico e coerente sistema integrato. Dai trasporti ai servizi alla persona, dalla sanità al turismo, dalla cultura alle politiche economiche territoriali, dall’agricoltura alle scelte di politica industriale, etc… Un’opera di questo tipo ha bisogno di anni e non di mesi, come invece spesso usano consumarsi la politica e le sue classi dirigenti. Soprattutto è necessario aprire una stagione e una prospettiva solidale tra le forze sociali, economiche e istituzionali della regione. Infatti, o lo sforzo e il relativo obiettivo sono comuni e condivisi o sono destinati a fallire. Per rigenerare l’Umbria, allora, è indispensabile coinvolgere attivamente e consapevolmente gli umbri, interpretando il PD e i gangli istituzionali come un nodo di una rete che indirizza il proprio flusso di idee e azioni in maniera armonica e coerente. Alla luce di tale presupposto, va riorganizzato il rapporto pubblico\ privato, disinnescando una competizione spesso a detrimento della qualità dei servizi e quindi della qualità della vita del cittadino. Occorre introdurre spazi dove esaltare in termini innovativi i BENI COMUNI, perni di una diversa concezione di benessere sociale, sviluppo e progresso. Un terreno importante è certo in questo caso il sistema del welfare regionale, che necessita di una riforma complessiva, capace di completare i buoni risultati raggiunti con la riforma della sanità.
Inoltre, da una spesa pubblica di segno “assistenziale” bisogna passare a una spesa pubblica alquanto selettiva, che investa le scarse risorse a disposizione in coerenza con le priorità stabilite.
Infine, sarà decisivo proseguire la strada delle riforme istituzionali. L’efficienza e l’efficacia delle istituzioni è determinante in merito ai tempi di risposta ai problemi. A livello regionale, il progressivo superamento della Provincia non può tradursi in una mera attribuzione di competenze a Enti di sottogoverno privi di rappresentanza democratica. Serve invece incentivare la positiva intuizione dell’Unione dei Comuni. Unioni che devono, però, presentarsi in forme snelle e flessibili come flessibili sono divenuti i bisogni dei cittadini.
E’ sulle risposte ai bisogni materiali e immateriali, alle povertà vecchie e nuove che il PD è atteso. Ed è ancor di più atteso sul grande tema del lavoro, che oggi, specie in alcune aree geografiche e fasce generazionali, assume toni drammatici. “L’Umbria intelligente”, oltre che a risolvere le emergenze, si proietta a fertilizzare un humus alternativo a quello di un’epoca in oggettivo tramonto. “L’Umbria intelligente” vuole preparare le condizioni per affrontare le sfide del secolo, per agganciare una ripresa inclusiva, che divenga anche leva di una vera e propria emancipazione sociale.
Stefano Fancelli