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Stefano Fassina fa il "gufo" con Renzi: “Sulla manovra temo brutte sorprese”

Creato il 17 ottobre 2014 da Tafanus

«Avremmo dovuto sforare il 3 per cento» dice l’esponente della sinistra Pd. E spiega che si doveva avere il coraggio di superare il vincolo: «Perché gli 80 euro non vanno solo a chi già ha un reddito». Attenzione poi alla spending review: «Spesso sono tagli e nuove tasse locali» (Luca Sappino - l'Espresso)

Fassina-renzi

«Temo brutte sorprese». Stefano Fassina vuole vedere oltre gli annunci di Matteo Renzi sulla legge di stabilità. E se il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, già brinda per l’annunciata riduzione dell’Irap, Fassina dice, «se per finanziare il taglio dell’Irap si taglia la sanità o il trasporto pubblico, l’impatto macroeconomico è negativo». Insomma, «finora Renzi ha annunciato le parti positive della manovra, ma temo ce ne saranno anche di negative, temo brutte sorprese», insiste Fassina che, dalla sinistra del partito, dunque, apre un fronte con il premier non solo sulla riforma del lavoro ma anche sulla manovra: «Il governo», dice all’Espresso, «data la gravità della situazione, avrebbe dovuto proporre una nota di aggiornamento al Def e una legge di stabilità più ambiziosa, con più sostegno alla domanda».
Come? «Andando oltre il 3 per cento con misure una tantum per sostenere gli investimenti», spiega Fassina, «e non fermandosi al 2,9 per cento». Vanno bene insomma gli 11 miliardi di coperture in deficit, annunciati, che porteranno il tendenziale al 2,9. Sì, «la direzione è giusta», ma c’è troppa timidezza: «superando una tantum il 3, avremmo avuto le risorse per aprire cantieri e dare lavoro, aiutando non solo le famiglie che un reddito lo hanno, e magari ne hanno due, e prendono gli 80 euro, ma anche chi è in una condizione di povertà assoluta».
Sull’anticipo del Tfr, annunciato e poi sparito dalla manovra («L’anticipo del Tfr non sarà in questa legge di stabilità», ha detto al Corriere il sottosegretario Graziano Delrio), Fassina non parla, come fa invece il segretario della Fiom Maurizio Landni, di un «diversivo» gettato dal premier in pieno dibattito sull’art. 18. Per Fassina, semplicemente, «il premier si è fatto prendere dall’estemporaneità», e solo dopo «il governo si è reso conto della difficoltà di fare in venti giorni una cosa complessa come l’anticipo del Tfr, dovendo trovare un’altra fonte di finanziamento delle imprese».
Fassina però è un gufo, lo sanno tutti. Uno che va in piazza con la Cgil e che promette - a chi in piazza non lo vorrebbe temendo che alla fine voterà la fiducia - che il Jobs act, così com’è, lui non lo vota. Anche in caso di fiducia: «Il testo attuale non è votabile» dice all’Espresso, «a prescindere dalla modalità di voto che si sceglierà».
Fassina, per Squinzi e Confindustria, la manovra, almeno nel taglio dell’Irap, «realizza un sogno». Per lei?
«A Renzi e Squinzi dico che la manovra va valutata nel complesso, e non a pezzi. Se per finanziare il taglio dell’Irap si taglia, ad esempio, la sanità o si taglia sul trasporto pubblico, l’impatto macroeconomico è negativo, e così quello sulla vita delle persone. Insomma, finora Renzi ha annunciato le parti positive della manovra, ma temo ce ne saranno anche di negative, temo brutte sorprese».
Il taglio delle tasse, dice Renzi, è coperto dalla lotta all’evasione e dalla spending review, entrambe però più volte annunciate e sempre confermate sotto le intenzioni. Non è che molto semplicemente si tagliano tasse centrali e si spingono gli enti locali ad aumentare le loro, come avvenuto per gli 80 euro?
«C’è il rischio, sì, e non dovrebbe esser così. La spending review è un titolo sul quale sono tutti d’accordo, ma che poi risulta scivoloso e sempre diverso rispetto alle dichiarazioni. Spesso fare ulteriori tagli ai trasferimenti verso comuni e regioni, vuol dire fare tagli al welfare o spingere verso nuove tasse locali. Io penso che il governo, data la gravità della situazione, avrebbe dovuto proporre una nota di aggiornamento al Def e una legge di stabilità più ambiziosa, con più sostegno alla domanda».
Facendo cosa? Con quali risorse?
«Con un punto di Pil in più rispetto all’obiettivo annunciato, andando oltre il 3 per cento, con misure una tantum per sostenere gli investimenti. Avremmo così avuto le risorse per mettere in sicurezza i territori, le scuole, aprire cantieri e dare lavoro, aiutando non solo le famiglie che un reddito lo hanno, e magari ne hanno due, e prendono gli 80 euro, ma anche chi è in una condizione di povertà assoluta».
Fino all’anno scorso, comunque, annunciare una manovra con 11 miliardi in deficit, sarebbe stato impensabile. Si sbagliava prima, con troppa rigidità? Sbaglia ora Renzi?
«Intanto anche l’anno scorso la manovra fu in deficit, anche se, per un importo minore, pari allo 0,2 per cento, contro lo 0,7 annunciato oggi da Renzi. Questo però è il terzo anno di recessione, che arriva in coda a un periodo dove abbiamo perso dieci punti di Pil. La direzione è giusta ma è troppo timida».
Senta, un miliardo e mezzo per gli ammortizzatori sociali non è poco?
«Rispetto alle esigenze è poco, sicuramente. Diciamo che possiamo considerarlo solo un primo passo».
Il presidente della commissione bilanco della Camera, il Pd Francesco Boccia, inascoltato, ha chiesto a Renzi di riproporre la web tax. Nella manovra manca poi una tassa sui patrimoni. Avrebbe aiutato?
«Ritengo che la più importante forma di tassa ai patrimoni si chiami contrasto all’evasione: quella è la voce a cui attingere, perché noi abbiamo una spesa pubblica tra le più basse e l’evasione che è doppia rispetto alla media. Vedremo che strumenti ha in mente il governo, e se riuscirà, ma il contrasto alla grande evasione, lasciando stare quella di sopravvivenza, è una forma di patrimoniale, considerando che i grandi patrimoni finanziari non sono facilmente tracciabili, purtroppo, e che la casa paga già abbastanza».
Sel e Civati chiedono di avere le carte del lavoro della mitica spending review di Cottarelli, per capire cosa il governo taglierà e su cosa, pur segnalata, ha deciso di soprassedere.
«Mi sembra giusto: il parlamento ha diritto di conoscere il risultato del lavoro di Cottarelli. Lo dico
perché sono convinto che i tagli sono scelte politiche e che quindi bisogna avere il modo di valutarli. Poi aggiungo che l’obiettivo indicato a Cottarelli lo ritengo irrealistico, e che provare a raggiungerlo vuol dire tagliare il welfare, per forza. Gli sprechi vanno eliminati, ma non arrivano a 16 miliardi, come dice il governo, soprattutto perché ci sono voci di spesa del bilancio pubblico, a partire da scuola e sanità, in carenza drammatica che andrebbero rimpolpate».
«L’anticipo del Tfr non sarà in questa legge di stabilità», dice il sottosegretario Graziano Delrio. Perché allora parlarne tanto, adesso. Si può pensare che fosse un diversivo per il dibattito sull’art. 18, come dice Landini?
«Diciamo che si è peccato di superficialità e fretta, che il premier si è fatto prendere dall’estemporaneità. E che solo dopo, il governo, si è reso conto della difficoltà di fare in venti giorni una cosa complessa come l’anticipo del Tfr, dovendo trovare un’altra fonte di finanziamento delle imprese».
Lei però è ormai un gufo. Il suo collega Francesco Boccia ha detto anche che se non fosse deputato del Pd andrebbe in piazza contro il jobsact…
«Io ci vado proprio in quanto parlamentare e perché, nonostante i tentativi di recidere quel legame, credo che il Pd debba coltivare il rapporto con il mondo del lavoro».
Però dovrà votare la riforma...
«Siamo impegnati a riproporre gli emendamenti ignorati dal Senato, perché il testo uscito da lì non è sostenibile».
Ma se ci sarà la fiducia? La negherà come hanno fatto i civatiani in Senato?
«Sono stato chiaro. Il testo attuale non è votabile, a prescindere dalla modalità di voto che si sceglierà».

Intervista di Luca Sappino a Stefano Fassina

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