Ieri ho seguito la diretta del Corriere sulla manifestazione di protesta degli operai Alcoa a Roma.
Ho visto le loro espressioni oscillare tra speranza e disperazione, i loro spiriti a volte combattivi a volte rassegnati. Ho sentito le loro parole: «ma voi lo sapete cosa provo io che sto per perdere la casa? mi viene da piangere…» diceva un operaio, col caschetto in testa, di fronte a un’imponente dispiegamento di forze dell’ordine pubblico a tutela del Ministero dello Sviluppo economico, in via Molise. Si rivolgeva agli agenti, in assetto antisommossa, con le lacrime agli occhi. «Io non ho più niente e mi devo difendere da persone armate», diceva un altro accanto al primo, «se mi arrestano mi fanno un favore, almeno dò qualcosa da mangiare a mio figlio».
Stefano Fassina, responsabile economia del Pd, ha fatto provocatoriamente comparsa in mezzo al corteo per essere subito cacciato di malo modo dai lavoratori. Ha poi dichiarato che chi lo aveva respinto non era lavoratore Alcoa, come se questo cambiasse qualcosa. Insomma, come quando a Taranto, quando furono interrotti i comizi della CGIL, la Camusso spiegò che i contestatori (operai Ilva) avevano «rubato la piazza» ai lavoratori (operai Ilva).
Ieri ho letto anche il capitolo XIII de La battaglia, romanzo di John Steinbeck sull’organizzazione di uno sciopero di braccianti americani all’epoca della Grande Depressione. Le analogie con il presente non mancano e per un caso fortuito mi sono trovato a leggere nel romanzo le notizie di attualità e, viceversa, nelle notizie ho ritrovato atteggiamenti e parole dei personaggi del romanzo.
Vi propongo di seguito un dialogo, che ho letto pensando agli operai Alcoa, che nel frattempo erano a Roma e promettevano «una manifestazione al giorno se le cose non cambiano». Prima di augurarvi buona lettura (da metà pag. 114 a tre quatri di pag. 117), ecco una domanda:
View this document on ScribdSe l’Alcoa fosse una banca, in quanti minuti l’avrebbero rimessa in sesto?