Succede che uno accende il computer, si connette e zac, viene a sapere che c’è l’opportunità di intervistare niente meno che Stephen O’Malley, giusto per semplificare, una delle due menti ed entità supreme incappucciate dei mitici e megalitici Sunn O))).
Se uno invece vuole complicarsi la vita oppure riempirsi le giornate, può perdersi curiosando o tuffandosi a pesce nell’attività impressionante di questo musicista/artista, che (fate un bel respiro…): compone, suona, sperimenta, ha collaborato e collabora con un sacco di musicisti in svariate band e progetti, va in tour, quando va al Roadburn fa traboccare il salone del Main Stage, scrive(va) di metal pesantissimo negli anni Novanta, produce grafiche molto apprezzate, ascolta e studia la musica a 360°, cura un’etichetta discografica tutta sua un po’ particolare che si chiama Ideologic Organ, è stato direttore artistico di festival internazionali di cultura e musica varia (es., Trasmissions, che si è tenuto a Ravenna)… e, nonostante tutto ciò, non ha ancora 40 anni e sembra un metallaro!
Che dire, ringraziamo chi ha fatto da tramite per l’intervista tra noi di The New Noise e Stephen. Noi della redazione siamo sparsi per l’Italia. Allora io (Mari), facendo le veci di Fabrizio e soprattutto Michele, tra i primi in Italia a svolgere un lavoro sistematico sui Sunn O))), ho agganciato Stephen telefonicamente lo scorso 3 aprile, appena tornato a Parigi da un breve viaggio negli USA. Con uno come Stephen O’Malley e col tempo, per forza limitato, a disposizione, non si può parlare di tutto. Stavolta ci si è concentrati su alcune attività ed eventi attuali e imminenti che interessano Stephen e alcuni suoi amici e compagni di musica. Anche se, complice la sua cordialità, si è finiti, invariabilmente, anche a parlare di un po’ di cose del passato… (le foto dei Gravetemple a corredo dell’articolo sono di Tom Medwell)
Ciao Stephen, grazie per aver accettato l’intervista. Ci sarebbero tantissimi argomenti di cui parlare con una persona, un musicista e artista come te. Cominciamo col focalizzarci su due argomenti attuali, ossia la tua label e la nuova uscita della tua band Gravetemple, che a breve farà uno show anche al Roadburn Festival in Tilburg (giovedì 18 Aprile 2013). Quindi, direi, cominciamo a parlare di Ideologic Organ e della tua collaborazione con Editions Mego, quindi con Peter “Pita” Rehberg, che è anche tuo partner in KTL. Come mai hai dato vita a un’etichetta e quali sono gli elementi di, diciamo così, affinità umana ed artistica che legano te e Pita in questa attività particolare?
Stephen O’Malley: Ciao! Va bene, sì, parliamo della label. Io e Peter abbiamo lavorato per circa sei-sette anni finora, facendo musica assieme. Pita ha anche partecipato ad alcuni spettacoli dal vivo di Sunn O))) parecchi anni fa, circa dieci. Ma abbiamo iniziato a comporre musica insieme per un lavoro teatrale di una regista francese, Gisèle Vienne. E nel corso di questi ultimi tre anni abbiamo scritto parecchia musica, per Gisèle Vienne, per varie altre pièce teatrali e anche per KTL, la band che alla fine abbiamo creato a partire da questa collaborazione.
Editions Mego ha avuto una specie di “rinascita” negli ultimi cinque anni. Durante questo periodo Peter ha iniziato a lavorare con John (Elliott) della band Emeralds a una specie di imprint label chiamata Spectrum Spools. Ed è stata una cosa davvero positiva per entrambi. E poi John… il suo gusto, la sua gestione artistica, il modo in cui ha sviluppato l’identità di Spectrum Spools…
Così Pita ha continuato a sviluppare varie altre imprint labels. Una di queste lavorava anche con GRM, che è lo studio discografico avviato da Pierre Schaeffer nella Maison de Radio France alla fine degli Anni Cinquanta, diventato un vero e proprio centro per la musica contemporanea elettronica e sperimentale negli Anni Sessanta e Settanta in Francia, oltre che nel resto d’Europa. Beh, Pita, come Editions Mego, aveva parecchi contatti con musicisti sperimentali legati allo studio GRM. A dire la verità la GRM esiste ancora, è una specie di società. Così hanno sviluppato una etichetta di nome R-GRM (Recollection-GRM) come imprint label, ed anche questa è andata a far parte di questa specie di famiglia Editions Mego. Hanno pubblicato un po’ di album tratti dall’archivio… devo dire che effettivamente è stupefacente quello che avevano fatto alla GRM.
Comunque, un’altra imprint label (e ce ne sono ancora) è la mia, Ideologic Organ. Si è deciso che sarei stato il curatore di questa piccola realtà specializzata essenzialmente in edizioni in vinile. E, sai, è una gran bella idea. Personalmente adesso come adesso non avrei le infrastrutture per gestire pienamente un’attività tecnica e commerciale come una label, e non so neanche se vorrei davvero fare una cosa del genere ora. Ma entrare come partner in Editions Mego mi rende possibile fare il curatore e dedicarmi alla selezione. Beh, anzitutto la musica è molto interessante e piacevole da ascoltare. Poi ci sono alcuni aspetti concettuali di cui mi occupo, circa i brani negli album che pubblico, chi sono questi stessi musicisti, la loro storia… È tutto molto interessante.
Così portiamo avanti la label, e la Editions Mego è la compagnia che gestisce tutti gli aspetti della distribuzione, corrispondenza, stampa… Quindi forse è un punto di vista sulla musica che sto trovando interessante… ma l’etichetta è giovane, ancora molto giovane e alla ricerca di una sua identità, mi sembra.
C’è, direi, già una discreta varietà di uscite Ideologic Organ. Tra l’altro, a questo proposito pensavo di chiederti: grazie alla tua musica e all’offerta variegata della label, pensi che ci siano più metallari che scoprono la musica sperimentale e d’avanguardia o succede l’opposto, cioè sono gli affezionati della musica d’avanguardia che rivalutano il metal estremo? Intendo, questo coinvolge non solo Ideologic Organ, ma anche la tua attività come musicista… Inoltre chiedo questo perché vien quasi naturale da domandare al manager di una realtà che abbina, per esempio, black noise come quello dei Wold e nientemeno che Sir Richard Bishop! Quindi, qual è l’idea dietro la programmazione delle uscite di album così eterogenei? Punti ad attrarre e far incontrare gente da scene distanti tra loro?
Non so se quest’attività possa portare la gente a dedicarsi a diversi tipi di musica proprio in termini di genere… Io credo che il genere in sé sia qualcosa di più interessante per i giovani, che lo usano come forma di identità. Sai, io ho quasi 40 anni. Sono portato a pensare al genere – appunto – come a un’identità, come a un gruppo a cui ci si può associare per sentirsi parte di qualcosa, ma anche come a una restrizione, perché, ovviamente, ognuno nel tempo cresce e cambia il suo modo di essere o i propri sistemi di valori. E quindi per me ora non conta più di tanto, il “genere”: è solo una specie di strumento mentale di categorizzazione. Intendo, ci sono molto modi per considerare i generi. Riesco a spiegarli come musica concettuale. Questo è “il genere”. Quindi in questo senso anche gli album usciti su Ideologic Organ sono da considerare in questo modo.
Comunque questo è il mio punto di vista, che può aver a che fare anche con un fattore storico, perché forse per i più giovani, ragazzi che hanno 20-21 anni adesso, il genere è diventato importante in quanto l’accesso alla musica è molto più ampio di quando io avevo 20-21 anni. Oggi è davvero possibile finire esposti a molti, molti, molti tipi di musica di ogni livello di popolarità e distribuzione, e ascoltarli. Molto velocemente e attraverso internet, ovvio. Per dire, puoi perfino trovare registrazioni degli inizi del Novecento, quelle sui cilindri fonografici in cera: le trovi in Internet in dieci minuti! (ride, ndr)
Però c’è da dire che è incredibile adesso, per uno che prova gioia nell’esplorazione della musica, riuscire a fare una cosa simile. Però, come categorizzare la tua collezione di dischi (ride, ndr)? Lo fai in base all’ispirazione o ti metti a dire “ok, questo è il mio settore jazz, questo è per il black metal, questo è per la black music, questi sono i miei album colorati di nero”? Cioè, alla fine è un modo per auto-organizzarsi…
E sai, penso di esser sempre… cioè non mi sono mai sentito troppo dentro un gruppo, nel senso che non mi sono mai sentito troppo profondamente dentro la scena black metal, dentro quella della musica elettronica o quel che è, idem per la scena doom… cioè mi piaceva seguire cosa succedeva, ma da fuori, come outsider, e mi è piaciuto lo stesso. Sento come una restrizione il fatto di avere un’identità in comune con altri fino al punto di perdere la mia… Io credo che adesso ci sia parecchia re-interpretazione della musica. E se tu sei un grande appassionato di musica che comunque prova piacere nella scoperta, perché mettere restrizioni?
Senz’altro hai ragione! A proposito, la questione “temporale” che hai appena citato mi fa venire in mente che hai postato sul tuo sito le versioni digitalizzate della tua vecchia fanzine Descent.
Ebbene sì!
Una specie di sguardo all’inizio di tutto. È un bell’abbinamento, questo, tra la tua etichetta adesso e tutte le influenze e, diciamo, mondi diversi che si ricongiungono nelle… tue radici! Ho trovato la cosa parecchio interessante.
Sì, beh, non so se sia una buona idea esporre le proprie radici, mostrare la mia fanzine di quando avevo 18 anni. Direi che più che “apertura mentale”, potrebbe essere qualcosa un po’ imbarazzante! Ma d’altra parte chiunque ha fatto scelte nel passato che forse non farebbe nello stesso modo vent’anni dopo… A me sembra interessante vederne lo sviluppo lineare. Per me poi l’attività della fanzine è stata quasi più come un esercizio di alchimia, perché creare quella fanzine è costato talmente tanto sforzo…
Posso solo immaginare!
Perfino scoprire come stampare, come organizzare il formato, che carta usare, come trovare un modo adeguato per promuovere la fanzine, come trovare gente che la vendesse, le spedizioni postali. Ogni cosa è stata una continua scoperta.
Ed ora posso fare la stessa cosa… in due ore! Due ore per fare la scansione della fanzine, farne un pdf e postarlo sul mio sito. E, giuro, ci son stati più download di quante copie io abbia mai stampato, maggiori di un fattore dieci, in soli due mesi! Stupefacente! (ride, ndr)
Internet non ti dice molto del tempo. Non è certo come trovare un vecchio libro e sentire veramente la storia del tempo nelle pagine, mentre le giri, le guardi, le senti al tatto. Internet è sempre così… non dà le stesse senszioni. Come si diceva prima, sul web trovi registrazioni che risalgono agli inizi del Novecento nel giro di un decina di minuti. Beh, cos’è, una macchina del tempo? O una rappresentazione del fatto che il tempo non esiste?
Eh, ho capito cosa intendi… Comunque penso che sia stata una cosa carina vedere le radici molto “fisiche” di un musicista, ossia tu, considerato, magari in modo un po’ superficiale, connesso alla drone music, che può sembrare un po’ più “astratta” del metal. Forse qualcuno pensa a te come un musicista sperimentale che per qualche ragione si è venuto a trovare nel giro del metal. Ma quando si vedono quelle radici “fisiche”, solide, come la fanzine, una fanzine vecchia scuola, beh, è un bel modo di conoscerti concretamente!
Sì, beh, sai, ognuno ha la sua storia … L’altro giorno stavo leggendo un’intervista con il cantante dei Red House Painters, Mark Kozelek. E lui si è messo a parlare di influenze di tutti i tipi! Mark Kozelek è un cantante pop incredibile, ma si è messo a parlare dei Bad Brains, di quanto i Bad Brains e l’hardcore gli hanno cambiato la vita, e cose del genere. Cioè ognuno ha una sua storia.
Per me, la mia storia è stata quella di crescere nei sobborghi di Seattle e di scoprire la geografia e la musica attraverso il tape trading e facendo, materialmente, una fanzine. Tieni presente che nel primo numero della fanzine nella foto di copertina c’è Burzum! Nel 1994, sai … intervistai Varg circa due mesi dopo che era stato arrestato. Adesso è fuori dopo circa vent’anni di prigione. Cioè, era il 1994, pazzesco!
Ognuno, comunque, ha un po’ questo tipo di radici. Recentemente stavo parlando con il cantante della band hardcore Lungfish, Daniel Higgs. Sai, ora Daniel Higgs è un grande musicista indipendente, un cantante incredibile, suona anche il banjo molto spesso, e suona musica carnatica, la sua versione di musica carnatica. È un ottimo musicista e durante gli anni Ottanta è stato il cantante di una delle hardcore band più fuori di testa di Washington DC, i Lungfish. Stavo chiacchierando con lui in effetti prima che del suo raga show al Transmissions Festival a Ravenna. Si parlava di com’erano gli spettacoli dei Lungfish e com’era stare in una band hardcore-punk. Beh, mi ha detto e ripetuto quanto fosse importante l’assunzione di LSD nella scena hardcore di Washington DC. E questa è una scena molto dentro nella filosofia straight-edge, è dove l’idea straight-edge è nata! Mi diceva che era senz’altro importante essere straight-edge, ma c’era un sacco di gente che prendeva LSD ai concerti … e pure le band!
Cioè, saltano fuori tante di quelle storie… Potrebbe esser davvero interessante, sai. Ma poi ognuno ha la sua vita a cui badare, e per la maggior parte di noi questa finisce per diventare più che sufficiente… e poi è il presente delle persone ciò su cui si finisce per focalizzarsi, e la storia passata che scopri, beh, è storia, non esiste più.
Bene, e allora parliamo del presente, dell’attualità, parliamo di Gravetemple e dell’album, Ambient/Ruin, che sta per uscire per la fine di aprile, vero? Dopo Roadburn. O uscirà anche prima?
Eh, sì, abbiamo provato a farcela per la serie di concerti che ci saranno durante questo mese…
Come gruppo, Gravetemple è una specie di spin-off della mia band Sunn O))). C’è stato un momento in cui ai Sunn O))) erano state fatte alcune proposte, qualcuno voleva aderire e qualcuno no. Allora abbiamo creato un paio di spin-off, o versioni diverse, per dire. Una si è chiamata Gravetemple e l’altra Burial Chamber Trio. Beh, alcune persone erano in una o nell’altra, o in entrambe. Con Gravetemple abbiamo iniziato a far qualcosa nel 2006: eravamo io, Oren Ambarchi e Attila Csihar, tutti in Sunn O))) in quel periodo. Mentre Burial Chamber Trio poi è diventato Oren Ambarchi, Attila Csihar, Greg Anderson e, se non sbaglio, un batterista ungherese come collaboratore.
Ad ogni modo, Gravetemple si è messo in attività come trio, talvolta con la collaborazione di alcune altre persone, facendo piccoli tour o anche spettacoli singoli, un’attività molto molto sperimentale e con molta improvvisazione, ma con anche il piacere di stare assieme. Perché per noi stare assieme non era solo mangiare bene insieme e far passare il tempo, ma anche fare musica insieme. Questo è il modo con cui a noi piace impiegare la giornata. Quindi l’album che stiamo pubblicando è in effetti il demo che avevamo fatto nel 2007-2008, per prepararci a un breve tour che abbiamo poi fatto nel 2008. Di questo demo allora era stata fatta una piccola edizione su cd, che non è più trovabile. Quindi abbiamo deciso di rifarne un’edizione adeguata e su vinile. Ecco che cos’è questo disco.
Sì, avevo letto del demo. Ma, beh, probabilmente questo era il materiale più appropriato da trasformare in un doppio lp, visto che non è una traccia singola come gli altri album che avete fatto (The Holy Down e Les Vampire De Paris). Oppure non c’entra?
Mah, quello non conta più di tanto nel mastering. A dire il vero entrambe quelle pièce comprendono diversi “stadi”. È solo che forse con Ambient/Ruin abbiamo ottenuto diverse tracce separate tagliando via gli stadi. Intendo, Ambient/Ruin è un “falso album”, è un qualcosa che non ascolti a brani separati sennò sono fuori contesto, almeno secondo la mia opinione. Cioè, è qualcosa che riguarda… beh, ora col vinile puoi sentire un lato e basta, però, sinceramente suggerirei l’ascolto per intero… Certo, poi la gente ascolta la musica in modi diversi…
Forse in futuro realizzeremo edizioni in vinile anche per degli altri dischi (di Gravetemple), perché tutti questi album mostrano alcune caratteristiche o dei punti interessanti, ad esempio nella storia di Oren Ambarchi: cos’è successo ad Oren dopo l’album Black One, com’era il suo coinvolgimento coi Sunn O))) e così via. Oren ha contribuito all’album Monolith And Dimensions, alla sua registrazione, però non è andato in tour con la band in quel periodo. Così con Gravetemple si continua anche a fare qualcosa assieme.
Comunque, per dire, il progetto è anche parte della mia stessa storia.
Ad ogni modo ognuno può ascoltarlo come vuole: se si bada alla musica per prima cosa, per me va bene. “Do what thou wilt”, fa ciò che vuoi.
Avete cambiato qualcosa o fatto del lavoro aggiuntivo sulle tracce originarie del 2008 per l’edizione nuova su lp?
Beh, i brani sono stati rimasterizzati per il vinile, certamente, anche se dire che si è rimasterizzato un demo può sembrare un po’ buffo (ride, ndr). Quindi diciamo che il demo è stato “masterizzato”. Però è stato curato da un ingegnere del suono molto in gamba.
A proposito, il 2008 è anche stato l’anno in cui Gravetemple si è trasformato da trio a quartetto, con l’entrata di un nuovo membro, Matt Sanders. Adesso è un membro stabile della formazione?
Skitz? Il suo nome è Skitz, come “schizofrenico”! No no, Matt si è unito a noi per un tour e per un po’ di registrazioni di batteria in studio. È sull’album, sì, ed abbiamo fatto dei tour con lui. Mi piacerebbe molto suonare ancora con Matt. Quell’uomo è incredibile ed è stato un vero onore lavorare con lui. Ma in questo tour che sta per iniziare saremo un trio. Anche Oren suona la batteria per Gravetemple, ogni tanto.
Capisco. Ma è stato difficile convincere un batterista di black-death metal a lasciarsi coinvolgere nei vostri progetti oppure no?
Beh, Matt Sanders è una persona con una mentalità aperta. Oren ha lavorato con lui varie volte. Sai, sia Matt che Oren sono australiani. Hanno collaborato ad alcuni progetti sperimentali in Australia o suonando insieme, oppure con Matt che suonava con un altro batterista o con un cantante lirico. È un musicista aperto. Non perché ha uno stile come il suo, ma Matt somiglia un po’ a Dave Lombardo. Nel senso che Dave Lombardo non ha suonato o suona sempre e solo con gli Slayer, ma collabora anche con un bel numero di musicisti sperimentali in vari altri progetti. È mentalmente aperto ed “spingersi” oltre. Beh, anche Matt Skitz Sanders ha quel tipo di mentalità. Cioè, convincerlo a suonare non è certo stato e non è un problema. L’unico problema semmai è logistico. Adesso durante questo tour francamente non possiamo permetterci i costi per farlo venire fino a qua, ecco quello che succede.
Un vero peccato… Dunque, visto che il tempo a mia disposizione è finito, per l’ultima domanda vorrei chiederti qualcosa in più su Oren Ambarchi. Come è iniziata la tua collaborazione con questo musicista? Cioè, quali sono le basi comuni della vostra ricerca combinata? È qualcosa connesso a come entrambi usate la chitarra, in una maniera cioè non-rock/non-metal? O che cosa?
Dunque, ti racconto una storiella, abbastanza buffa. Tempo fa vivevo a Manhattan e ogni tanto facevo il dj per vari eventi. Durante uno di questi, nel 2003 o 2004, decisi di suonare una delle tracce del secondo album di Oren che mi ero procurato, Grapes From The Estate. C’è una traccia che si chiama “Corkscrew”, che per me è un po’ … beh, quell’album e quel brano per me sono “classici Oren Ambarchi” quanto a composizione. Comunque lì al club metto su il brano, e succede che il basso risulta essere così pazzesco da far saltare gli allarmi anti-incendio del club! Saltano le sirene, la gente viene evacuata dal club e arrivano sette (sette!) camion dei pompieri! Un casino pazzesco, quel basso così forte da far scattare l’anti-incendio, con tanto di evacuazione, pompieri, una specie di disastro… Allora il giorno dopo ho scritto un’e-mail a Oren raccontandogli la storia. Lui semplicemente rispose scrivendo “Dobbiamo lavorare insieme!” (ride, ndr). Hahahahaha! E poi, quando con Sunn O))) siamo andati in Australia, abbiamo avuto un’esperienza incredibile e tutto è cominciato così. Beh, ora son quasi 10 anni!
Grazie, è una storia molto simpatica, un bel modo per chiudere questa piacevole chiacchierata con te, Stephen. Grazie per tutto, in bocca al lupo per l’uscita, la band, il tour, e, beh, arrivederci al Roadburn!
Grazie dell’intervista e, yeah, arrivederci al Roadburn o in giro!
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