Sono pochi gli scrittori africani a non subire “il trattamento acacia e sole al tramonto”: lo scrive Simon Stevens sul blog ‘Africa is a country’ sollevando un dibattito che in poche ore ha coinvolto internauti di mezzo mondo su Twitter e social network.
L’assunto è questo: molti libri di scrittori africani tradotti all’estero presentano copertine simili, con l’immagine stereotipata, appunto, di un albero di acacia e un rosso sole al tramonto.
“È ora di dire basta, e di smetterla di rappresentare l’Africa, un continente di oltre un miliardo di abitanti, come la brutta copia di una scenografia de Il Re Leone”.
E Stevens, su Twitter, ha postato, a dimostrazione della sua tesi, l’immagine della copertina dell’ultimo libro di Chimamanda Adichie, scrittrice nigeriana vincitrice del premio Commonwealth e dell’Orange Prize for Fiction.
In poche ore, il blog ‘Africa is a country’ –il cui nome richiama proprio all’abitudine di molti, inclusi i mezzi di informazione, di descrivere il continente come fosse un tutto unico, senza differenze – è stato inondato da foto di copertine in tutto e per tutto simili, postate dai vari continenti.
Sul perché le case editrici non si azzardino, spesso, a superare il cliché in questione, interviene sul sito Quartz, anche Peter Mandelsun, autore di un testo sulle relazioni tra immagini e testi.
“In parte è per pigrizia – spiega Mandelsun – e in parte per timore di un flop. Se qualcuno prova qualcosa di nuovo e il libro non vende, si sa su chi puntare il dito: quello che non ha messo l’acacia in copertina”.
E io aggiungerei, e mi pare un aspetto abbastanza importante, che gli stessi contenuti di romanzi e/o di racconti di alcuni autori occidentali che scrivono d'Africa , e spesso anche degli stessi africani, che propongono al cosiddetto “primo mondo”, indugiano ,più o meno, nel dipanarsi delle trame, su un’Africa troppo scontata.
Quella cioè che noi ci aspettiamo che lo scrittore ci dia e che , pertanto, è figlia più del nostro immaginario, che lui titilla, che della effettiva realtà.
Se andiamo a leggere, invece, autori africani (e oggi cominciano a esserci e ci sono) che scrivono solo per l’Africa e per gli africani, cambiano completamente gli scenari.
Emergono in quelle “scritture” culture ,usi e tradizioni totalmente differenti,diversi da realtà a realtà,agevolmente comprensibili, com’è naturale che sia, a un pubblico che, appunto, vive quei contesti.
E che l’occidentale, ovviamente, a causa di codici culturali diversi, incontra difficoltà a penetrare e a comprendere appieno.
Sarebbe bene, allora, consapevoli delle difficoltà di mercato che il romanzo scritto dall’autore africano per il lettore africano normalmente incontra (è sempre questione di denaro e ci vuole gente che ci creda e che sponsorizzi in tale direzione), potenziare un’editoria anche minore, e anche a casa nostra magari oltre che laggiù, affinché si abbia la possibilità di conoscere quella che è la voce di un’Africa autentica.
E, conoscendo ad esempio, il swahili ma non solo quello, a seconda del Paese, approcciarsi alle strutture linguistiche, sul piano sintattico e grammaticale (l'africano privilegia l'oralità anche nell'uso della parola scritta), in quanto esse differiscono notevolmente da quelle delle lingue europee, cui noi siamo avvezzi.
Comprendere l’Africa per davvero richiede insomma il “nostro” sforzo. Cioè un inculturarsi anche a partire dalle pagine di un libro.Ed è giusto che sia così nel rispetto delle differenze culturali.
Discorso analogo può valere e vale per l’industria cinematografica e, in particolare per quella delle fiction televisive, che inondano le reti locali in Africa, perché all’africano, lo sappiamo, l’evasione che regala il cinema piace.
E di cui la Nigeria, ad esempio, ha fatto con intelligenza un business molto redditizio.
E che è stato possibile proprio perché le storie sono vere e sono di ordinaria quotidianità africana e gli attori, africani anch’essi, il più delle volte dei talenti scoperti in strada, fanno mestieri completamente differenti nella loro quotidianità.
Non sono cioè necessariamente dei professionisti affermati e strapagati.
In questo modo si crea mercato, proprio per i costi che sono competitivi.
E la produzione, che cresce e si moltiplica, fa realizzare profitto all'investitore.
Pertanto sarebbe bello e auspicabile che la stessa cosa, lontano da luoghi comuni logori e da logiche di mercato esclusivamente affaristiche, avvenisse per il prodotto "libro".
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
Nella foto in alto un esempio di copertina di un noto romanzo di una scrittrice africana, edito in Africa e per il mercato africano . Semplicità e realismo.