Quando si affronta la stesura di un romanzo, i dubbi ci sono o almeno ci dovrebbero essere, e pure in quantità.
Almeno nella fase iniziale, occorre mordere il freno. Conosco abbastanza bene la sensazione che si prova perché c’è un’idea, e si vorrebbe iniziare all’istante a metterla nero su bianco, vederla girare. Ma l’idea ha un grande difetto: affascina, e spesso non è detto che riuscirà mai ad affascinare gli altri. Non solo: è un momento delicato, anche se si tende a sottovalutarlo. C’è entusiasmo, voglia di mettersi al lavoro, ma basta un nonnulla, e la creatura, muore. E allora?
Le occhiaie della storia
Allora devi mordere il freno. Certo, come ho già scritto in precedenza in più di una occasione, stabilire delle regole è folle, perché ci sarà sempre qualcuno che le infrangerà. Forse è più opportuno parlare di linee guida, ecco. E che ci faccio con queste linee guida?
Ti possono aiutare a riconoscere le occhiaie della storia. Quelle parti che a te piacciono tantissimo, ma a un lettore distaccato fanno orrore.
Attenzione: una storia non deve essere perfetta (pure questo mi pare di averlo scritto parecchie volte), ma funzionare. Comunicare qualcosa. Ma come faccio a scovare le occhiaie della storia? Nel modo più semplice che io conosca: indossare i panni dell’avvocato del diavolo.
L’avvocato del diavolo è un tipaccio che va in giro a fare domande scomode. Facciamo finta che tu abbia scritto una scena: Caio va ad Abbiategrasso. E ti fai un sacco di complimenti per l’ideona (perché è un’ideona, Caio ad Abbiategrasso), ti stringi la mano e già che ci sei stappi un bottiglia di acqua Perrier da 7 euro per festeggiare.
L’avvocato del diavolo arriva col suo sorriso, e chiede:
“Caio. Va ad Abbiategrasso. Perché. A che serve”.
E non sai che rispondere. Perché non ha senso. Lui è di Milano, e non c’è una valida ragione perché vada là. Ah sì, ci sarebbe il motivo, ma è talmente striminzito…
Oppure: riesci a trovare una buona risposta, e tappi la bocca all’avvocato del diavolo. Il suo ruolo non è di boicottarti, ma di verificare la solidità di una scena. Se manca, quella scena va eliminata.
Ogni scena deve avere una valida ragione per occupare quel posto, per esserci insomma. No, non deve “riempire” lo spazio vuoto. Sia chiaro: spesso accade che una o più scene siano lì per… rallentare l’azione. Di certo hai letto dei romanzi dove la catastrofe sta per arrivare, e invece di precipitare tutto in un colpo solo, che succede?
Che ci sono dei capitoli che hanno uno scopo solo: rallentare l’azione. Quasi sospenderla prima del finale.
Tutto questo potrebbe indurti a credere che in fondo una scena, un capitolo, non deve sempre giustificare la sua presenza. Una scena, se rimanda la resa dei conti, non allunga il brodo? Non è un espediente dell’autore per aggiungere quelle 20, 40 pagine al libro, e fare così felice l’editore?
Difficile rispondere.
Due etti abbondanti, lascio?
C’è una certa differenza tra il dilettante e il professionista. Di solito quello che li distingue è la tecnica, l’esperienza. Non sempre queste 2 qualità sono usate a regola d’arte.
Per esempio: lo scrittore affermato ha perso la vena creativa e continua a scrivere. A pubblicare. Si sente che la penna (dovrei scrivere “la tastiera”), non ha più la freschezza di un tempo. Però continua e alla fine si è comunque soddisfatti (o abbastanza soddisfatti, qualunque cosa voglia dire). Ma il professionista si è fatto le ossa leggendo, cercando di capire i meccanismi che costruiscono e mantengono elastica, viva, la struttura di un romanzo. E da solo riesce a capire se un evento è inutile, e occupa spazio, oppure occupa uno spazio ma nell’economia della storia ha un proprio valore.
Come dici? Che la risposta non ti convince? Che l’avvocato del diavolo è troppo invadente e critica sempre tutto, e inoltre non ho indicato alcun criterio?
Allora cominciamo “ab ovo” (questa locuzione latina la devo mettere per alzare il livello del blog).