Si può essere prog anche sfiorando argomenti che al prog poco appartengono. Sempre con quel filo di stravaganza tipica del rock teatrale, che con i Genesis raggiunse l’apice. Era il 1978 e Steve Hackett inaugurava con Please Don’t Touch la sua carriera da solista. Un album che sottolinea la grande cultura extramusicale del chitarrista dei Genesis (dalle citazioni di Narnia agli omaggi ad Agatha Christie), e che sarà uno dei suoi marchi di fabbrica fino a Metamorpheous del 2005. Un campionario di stili e generi, dove un ruolo da protagonista ma mai esclusivo recita la sei corde di Steve, dall’elettrica alla classica in nylon.
STORIA. Steve Hackett lasciò i Genesis nel giugno 1977 (dopo il tour documentato nel disco Seconds Out), e da quel momento ha iniziato la sua carriera da solista. L’album contiene diversi spunti scartati dai Genesis e che invece consentirono ad Hackett di esprimere quegli aspetti musicali che non incontravano l’approvazione del resto del gruppo. Diverse le collaborazioni nel disco, ospiti di fama internazionale quali la cantante Randy Crawford (in Hoping Love Will Last), l’icona folk statunitense Richie Havens, il batterista e il cantante dei Kansas, Phil Ehart e Steve Walsh, oltre al collaboratore di Frank Zappa Tom Fowler ed al batterista dei live dei Genesis, Chester Thompson, e il violinista dei Van Der Graaf Generator, Graham Smith.
IMPORTANZA. Hackett aveva già pubblicato un album solista, Voyage of the Acolyte, ma quel lavoro, oltre ad essere più aderente a tematiche stilistiche progressive, si incastrava in un periodo in cui Hackett era ancora un membro dei Genesis. C’è da dire che molte sue proposte continuavano ad essere scartate dalla band e tanto per fare un esempio, anche il brano Please Don’t Touch fu accantonato da Gabriel e compagni. Divenne però la title track di questo disco da solista, il suo primo disco post-Genesis e per molti il vero album di debutto da solista di Hackett. In realtà si tratta di una raccolta di canzoni e si distingue da subito a differenza di tanti altri lavori di Hackett che sono solo strumentali. Fu anche il primo del chitarrista caratterizzato dall’uso pionieristico del sintetizzatore per chitarra Roland GR-500.
SENSAZIONI. Please Don’t Touch suona come un re-introduzione di Steve Hackett e mostra tutti i suoi lati della personalità musicale, il suo ricco humor inglese (si nota soprattutto in Carry on Up the Vicarage, dove la voce di un inedito Hackett cantante imita quella di un gnomo grazie all’utilizzo dell’elettronica), il suo insolito sensibilità melodica, e il suo gusto eclettico in generale. In mezzo Hackett dà prova di potersi cimentare come autore anche in altri generi musicali, dalle folk ballads (How Can I?), all’R&B (Hoping Love Will Last), per concludere a scampoli di jazz e funky (Icarus Ascending). Nel complesso, Please Don’t Touch mostra tuttavia ancora una forte impronta di Genesis, specie quelli di Foxtrot. Infine, era il 1978 e The Wall dei Pink Floyd sarebbe uscito un anno dopo. Provate ad ascoltarlo con questa pulce nell’orecchio e chissà, forse anche voi percepirete una certa, seppur lieve, influenza.
CURIOSITA’. La copertina dell’album è stata realizzata dall’artista Kim Poor e raffigura una coppia di persone in abiti vittoriani, attaccati da robot e marionette in un negozio di giocattoli. È stata poi ripresa da Ridley Scott in una scena del suo celebre Blade Runner, dove il personaggio Rick Deckard (interpretato da Harrison Ford) viene attaccato in un appartamento pieno di replicanti giocattoli.