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Chissà, forse è questo è il motivo per cui, mentre arrivavano notizie sempre più terrificanti da Lampedusa, il mondo sembrava non accorgersi di nulla. Forse stava ancora smaltendo i postumi della sbornia del giorno prima, fatto sta che ieri non una voce si è levata per urlare l'orrore che stava (sta) accadendo. Non una voce del popolo, intendo. Eppure viviamo in un mondo in cui nessuno o quasi può più dire : "Non lo sapevo". Distrazione? Mancanza di parole? Ne sprechiamo a tal punto per mandare affanculo il politico di turno da non averne in tasca nemmeno una per una catastrofe del genere? Io non penso. Credo al contrario che evitiamo con accuratezza le complicazioni, le cose a cui non riusciamo a dare una risposta facile, le cose che non riusciamo a ridurre ai minimi termini. È semplicissimo indignarsi per la condotta della nostra classe politica, ci indigniamo e nel momento in cui lo facciamo operiamo una semplificazione, ci chiamiamo fuori dal problema. Non ci riguarda. E così l'indignazione diventa un semplice esercizio di stile, una gara a chi fa la battuta più spiritosa o provocatoria, uno sfogo la cui soluzione è sempre semplicissima, e quindi sicuramente sbagliata.
Cosa succede, invece, quando muoiono trecento migranti? L'indignazione non ha appigli, non ci sono semplificazioni. In fondo al nostro cuore sentiamo un barlume di senso di colpa, sentiamo che il fatto di essere su questa sponda e non su un'altra è solo questione di fortuna, casualità, provvidenza, di qualcosa che comunque non dipende dalla nostra buona condotta. E quindi stiamo zitti per non farla esplodere, questa sensazione, stiamo zitti perché parlarne significherebbe prendere coscienza, e di fronte a una presa di coscienza non si può restare indifferenti. Stiamo zitti per non impegnarci, per fingere che la cosa che non ci riguardi. Stiamo zitti per non avere distrazioni dalla nostra vita. Stiamo zitti perché siamo pigri. E c'è da chiedersi se siamo sempre stati così oppure è il nostro modo di vivere che ci ha fatto avvizzire a tal punto.
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