Park Chan-Wook torna a regalare la sua grazia cinematografica dopo 4 anni di assenza, con una produzione americana dai toni di forti e dalle tinte perlacee.
Il film mostra la vita di una ricca famiglia provata da un lutto. La protagonista, India, l’apatica figlia diciottenne, dovrà affrontare il disgregarsi sotto i suoi occhi di quel perfetto nido che la tiene al caldo, per scontrarsi con la fredda estraneità del mondo.
Le premesse sembrano non puntare molto in alto, e questo lo si deduce dal fatto che la pellicola e i personaggi
non catturano subito lo spettatore. Allo stesso tempo la cinepresa si diverte nel prodigarsi in acrobazie tecniche di grande spessore, concretizzate in montaggi alternati (inizialmente rintronanti ma, una volta assimilati, di una grande potenza rivelatrice), colori freddi alternati a sprazzi di luci calde (così come il sangue macchia un fiore o un viso pallido) e sovrapposizioni in dissolvenza dall’effetto sempre ispirato.Con lo scoccare della prima ora però, si intuisce una strada, un percorso seminascosto tra le fronde del cinema. E’ il cammino di crescita di India; una via che, attraverso una penetrazione filmica, porta la maturazione della diciottenne a donna. Cambiano le scarpe, cambiano i vestiti e continua a cambiare, in un perenne gioco di luci, il colore degli occhi. Dal pozzo nero impenetrabile e tenebrosamente invitante della India iniziale, si passa attraverso degli specchi di un azzurro plumbeo, per approdare poi ad un castano scuro finale di passione e libertà. Effettivamente, lo sguardo della protagonista sembra contenere l’intero spettro dei colori e, se ancora non si fosse capito, delle emozioni umane; già, perché in questo film (come sottolinea la bellissima canzone finale Becomes the Color) l’utilizzo certosino e mai casuale di diverse tinte e pigmenti occupa un ruolo fondamentale, sul quale si regge buona parte dell’opera. Oltre agli occhi e ai capelli neri della ragazza, troviamo infatti l’oro-azzurro della Kidman (alla quale spetta forse la migliore prova attoriale, non esaltata però dal ruolo di personaggio di minor spessore narrativo) e il verde freddo dello sguardo felino (o rettiliano) di zio Charlie.
Tutta la pellicola è fondata su un unico corpo centrale, quello di India. La telecamera si sposta con lei e con le sue ossessioni mentali, dal rapporto incestuoso tra la madre e lo zio, al romantico sentimento di protezione che sente provenire da quest’ultimo. Il percorso di svezzamento e raggiungimento dell’età adulta attraversa la figura della ragazza per tutta la durata del film, in un turbinio inarrestabile di violenza. Sebbene Stoker si presenti come un tranquillo thriller di periferia, più tardi sboccia nella rossa passione, e dai freddi standardizzati abiti bianchi e neri, si passa in breve ad un vestito di seta sopra ad un paio di scarpe con tacco a spillo. E’ un attimo, un balenio nella placida calma, ma si sente e svela allo sguardo una limpida luce di libertà, guadagnabile solo tramite la sottrazione di quella altrui. E India questo lo imparerà, oh se lo imparerà…
TRASFUSIONE SANGUIGNA
Dr. Lecter
Regia: Park Chan-wook – Cast: Mia Wasikowska, Nicole Kidman, Matthew Goode – Nazione: USA, Regno Unito – Anno: 2013 – Durata: 99′