Storiella omosessuale. Franco Buffoni, Zamel, Milano, Marcos y Marcos, 2009
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di Giuseppe Panella*
Zamel è un insulto. Vuol dire omosessuale solo passivo (per usare una terminologia neutra e gentile al riguardo ma i termini in italiano sarebbero altri). Aldo, un gay maturo e trasferito da tempo in Tunisia, usa questo termine per interpellare Nabil, un giovane che frequenta ormai da tempo e con il quale ha avuto nutriti rapporti sessuali. Per tutta risposta, il giovane lo uccide e infierisce sul suo corpo, lasciandolo senza vita nella vasca da bagno della casa, poi simula una rapina e fugge. Catturato dopo poco tempo, sarà condannato a vent’anni di carcere per omicidio conseguente a un furto e non per aver ucciso perché è stato provocato. Il tunisino preferisce così perché aver commesso un furto non è disonorevole come aver compiuto atti contro natura con un uomo. Edo, più giovane e disinibito omosessuale militante “liberato”, abita nella casa di Aldo durante il processo a Nabil, ne scrutina i libri, ne commenta i gusti letterari. Il morto, infatti, appartiene a un’altra generazione di omosessuali – quelli che amano definirsi al femminile e rifiutano l’idea di rapporti con loro altri simili piuttosto che con “uomini veri”.
Edo, invece, è convinto che la nascita e il consolidamento di una comunità gay potrà condurre all’emancipazione legale, se non sociale, dei suoi appartenenti e che per arrivarci bisognerà passare attraverso una battaglia per i diritti civili fino alla sua affermazione. Considera l’Italia un paese ancora clerico-fascista da questo punto di vista e guarda con interesse e speranza ai matrimoni tra gay in Spagna, in Olanda, nell’Occidente protestante peraltro ormai scristianizzato. Ritiene superata la visione dei vecchi gay che ostentano movenze e mentalità femminili e auspica la creazione di rapporti tra pari all’interno della preferenza sessuale per lo stesso sesso. Vorrebbe maggiore consapevolezza riguardo al proprio destino da parte di chi fino ad ora si è nascosto e vergognato dei propri gusti non conformizzati a quelli degli individui “normali” e soprattutto auspicherebbe che l’omosessualità fosse considerata come una dimensione della vita nella quale poter realizzarsi ed evitare di sfuggirsi.
«Ciò che dovrebbe essere sempre ricordato è che si nasce persone e cittadini, con uguali diritti e doveri. I dati dell’ OMS sono ragionevoli e confortanti. Ogni cento nuovi nati nel mondo, ottanta nascono con predeterminazione istintiva e naturale per essere eterosessuali, dieci per essere bisessuali, dieci per essere omosessuali. Punto. Tutto il resto è ‘cultura’» (pp. 125-126).
Forse messo così è un po’ troppo semplice. Buffoni ripercorre il cammino (e il destino) degli omoerotici dall’epoca della repressione brutale e insensata (quella in cui sui corpi arsi dei sodomiti venivano gettati fasci di finocchio perché l’odore della carne bruciata non risaltasse troppo evidente) a quella dell’analisi medicale in cui dall’omosessualità come vizio e corruzione della carne si passa all’idea della pulsione verso il proprio stesso sesso come malattia da curare (con l’elettrochoc o il coma insulinico) o come mancanza fondamentale all’interno del proprio Sé (da ridefinire nel corso di una terapia analitica). Il percorso del movimento di liberazione omosessuale, tuttavia, è corso, in certa misura, parallelo ai tentativi di ingabbiarlo all’interno delle dinamiche del potere giudiziario e sanitario fino all’evoluzione di teorie che lo vedevano come espressione non di vizio o di corruzione disgustosa o efferata quanto come sintomo dell’esistenza di un “terzo sesso” (o uranismo) ad opera di Karl Heinrich Ulrichs che, nel suo opuscolo Inclusa, lo qualificò con la definizione latina anima muliebris corpore virili inclusa, “un’anima femminile imprigionata in un corpo maschile”. A questa ricostruzione della situazione esistenziale dell’omosessuale si contrapposero fin da subito altri teorici come Karl-Maria Kertbeny che ne coniarono un altro concetto e un’altra definizione, quella di omosessualità. Essa, all’inizio, ebbe meno successo di quella di Ulrichs ma poi finì utilmente per prevalere. Il discrimine, tuttavia, tra concezione repressiva e dimensione medico-psicoterapeutica dell’inclinazione omoerotica è identificabile, secondo Michel Foucault, nel 1870. Nel serrato dibattito tra Aldo ed Edo, infatti, il punto in questione è l’emergere di movimenti di rivendicazione dell’omosessualità che ne indicano una possibile evoluzione in senso comunitario, di stile alternativo di vita:
«[Edo] Usare il termine omosessuale per definire persone o eventi antecedenti il 1870 è un’astrazione. E’ ovvio che non sono esistiti – in termini moderni – un Socrate gay o un Michelangelo gay. [Aldo] Perché indichi proprio l’anno della presa di Roma? [Edo] E’ la data scelta da Foucault per indicare il momento in cui – nella cultura occidentale – la sodomia smette di essere un’aberrazione temporanea (il sodomita era considerato tale solo durante l’atto) e nasce l’omosessualità (genere maschile, specie omosessuale). Il termine Homosexualität fu coniato nel 1869, e non da un medico, ma da un letterato, Karl Maria Benkert o Kertbeny – era ungherese, ma scriveva in tedesco – il quale, con lo spirito del militante, si ribella inutilmente contro l’estensione a tutti gli stati tedeschi della legislazione repressiva prussiana contro la sodomia» (p. 117).
Il passaggio dalla condizione di sodomita (legata a una preferenza che si esprime in un’attività sessuale ma che non coinvolge tutta la personalità di chi la effettua tant’è vero che la maggioranza dei praticanti risulta poi sposata e spesso con figli legittimi) a quella di omosessuale è un punto di non ritorno. Con Kertbeny e poi con Marcus Hirschfeld gli omoerotici diventano persone a tutto tondo, con una personalità organizzata e un mondo culturale condiviso. Sarà tuttavia negli anni Settanta del Novecento che prenderà piede e si diffonderà la necessità di accedere a diritti civili riconosciuti prima come strumento di auto-difesa dei gay e poi come movimento organizzato influente soprattutto in ambito sociale e politico (il caso del consigliere comunale di Los Angeles Harvey Bernard Milk poi assassinato dall’ex-collega Dan White insieme al sindaco George Moscone rimane esemplare). A prescindere, però, dall’ambito direttamente politico della questione, Buffoni si sofferma sull’ambito più specificamente culturale e letterario della questione e ripercorre le vite di poeti omosessuali refoulés come il grande Walt Whitman o omofobi come Eugenio Montale o nascosti perfino a se stessi come Carlo Emilio Gadda e Aldo Palazzeschi che preferirono distruggere tutte le possibili testimonianze sulle loro preferenze omosessuali celandole in maniera ossessiva. Il modello di riferimento di questo saggio che cerca di presentarsi sotto la forma di romanzo per evitare un’eccessiva seriosità riguardo l’argomento trattato è quello della carrellata storiografica mescolata a momenti di riflessione teorica e di esemplificazione esistenziale. Discutendo insieme, il giovane attivista entusiasta e il maturo gay già assai disincantato e solo desideroso di cogliere il proprio piacere con i giovani e muscolosi tunisini di cui ha fatto la conoscenza, arrivano a conclusioni spesso diverse ma sicuramente concordano sulla loro natura di soggetti marginalizzati dai vari e più diversi establisment culturali e sociali che hanno affrontato nel corso della loro esistenza matura. Aldo, alla fine del percorso storico-teorico compiuto insieme a Edo, arriva alla conclusione che l’amico non ha tutti i torti anche se gli risultano ancora, tutto sommato, difficili da accettare. L’idea che il suo amante Nabil sia anche lui omosessuale lo lascia perplesso e demotivato a far continuare il loro rapporto. Vorrebbe metterlo alle strette chiedendogli se è davvero zamel o no. Questa richiesta far scatenare il dramma e l’omicidio per lavare con il sangue l’onore offeso. Tutto questo perché Aldo non ha capito quello che a Edo è ormai ben chiaro (e il suo omicidio simbolico sanziona anche la morte del vecchio modello di omosessuale “femminilizzato” e atteggiantesi a checca un po’ sfinita):
«Ti ricordo una felice sintesi di Giovanni Dall’Orto: “Omosessuali non si nasce né si diventa. Omosessuali si è”. E’ la risposta lucida, pragmatica, fenomenologica da replicarsi alle posizioni essenzialistiche e idealistiche. Perché nel momento in cui ci si chiede se si “nasce” o si “diventa” omosessuali (o mancini) si sottintende che ci sia una “causa”: come per le patologie, per le malattie. Se si “è”, si smette di cercare “cause” e ci si limita – al più – alla descrizione dei fenomeni» (p. 40).
Romanzo-saggio nella tradizione migliore del genere, il libro di Buffoni ha il coraggio di affrontare problemi e temi che in Italia sono ancora questioni di frontiera.
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* Negli anni tra il 1896 e il 1901 (rispettivamente nel 1896, 1897, 1899 e 1901), Anatole France scrisse quattro brevi volumi narrativi (ma dal taglio saggistico e spesso erudito) che intitolò alla fine Storia contemporanea. In essi, attraverso delle scene di vita privata e pubblica del suo tempo, ricostruì in maniera straordinariamente efficace le vicende politiche, culturali, sociali, religiose e di costume del tempo suo. In particolare, i due ultimi romanzi del ciclo presentano riflessioni importanti e provocatorie su quello che si convenne, fin da subito, definire l’affaireDreyfus. Intitolando Storia contemporanea questa mia breve serie a seguire di recensioni di romanzi contemporanei, vorrei avere l’ambizione di fare lo stesso percorso e di realizzare lo stesso obiettivo di Anatole France utilizzando, però, l’arma a me più adatta della critica letteraria e verificando la qualità della scrittura di alcuni testi narrativi che mi sembrano più significativi, alla fine, per ricomporre un quadro complessivo (anche se, per necessità di cose, mai esaustivo) del presente italiano attraverso le pagine dei suoi scrittori contemporanei. (G.P)