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Storia del rock: I Coldplay

Creato il 11 giugno 2013 da Thefreak @TheFreak_ITA
Storia del rock: I Coldplay

Se pensiamo alla band del momento, sicuramente tra i primi della lista figurano i Coldplay. Indipendentemente dai gusti musicali, i quattro londinesi hanno conquistato la scena mondiale e a livello musicale e a livello mediatico, riuscendo a scrivere il proprio nome nella storia della musica degli anni 2000.

Tutto ciò che si è creato attorno al fenomeno Coldplay è indubbiamente strabiliante, e lo è ancora di più capire l’evoluzione di questo gruppo Britannico.

La storia dei Coldplay è delle più semplici, la quintessenza della band che ce l’ha fatta partendo dal nulla: nel 1996 durante la festa delle matricole all’University College di Londra, l’allora diciassettenne Chris Martin, nato a Londra ma cresciuto a Mold (Galles settentrionale), conosce il timido Jon Buckland (colui che sarà il chitarrista). Tra una battuta e l’altra salta fuori la comune passione: entrambi hanno cominciato ad amare la musica fin dalla più tenera età: Chris Martin viveva di musica, di fatti formò il suo primo gruppo ad appena undici anni, ispirato dalle canzoni di Bob Dylan, Neil Young, e da tutto ciò che queste comportavano: emozione, forza, introspezione. I due appena conosciutisi, cominciano a fantasticare di una possibile band da formare, che dopo l’ingresso nel gruppo di Guy Berryman (il bassista) comincia di fatto a prendere forma.

Le fonti di ispirazione sono note: Beatles e Radiohead su tutti (Martin dichiarerà più volte che l’ascolto di “The Bends” dei Radiohead ha influenzato non poco il suo modo di intendere, di concepire la musica, nonché l’idea portante dell’arte che avrebbe presto voluto realizzare).

Il sound, seppur ancora da modellare, vira verso quell’intimismo melodico che caratterizzerà il primo album dei Coldplay. Il lavoro dei tre, con a capo il vocalist e già coi sintomi del Frontman, Chris Martin, è già un incipit di quello che poi saranno i Coldplay. I lavori si concludono in fretta e con grosso entusiasmo, ma manca un dettaglio non da poco, un batterista. Il giovane polistrumentista Will Champion si immerge fin da subito nelle sonorità che lo aspettano, impiegando più o meno tre mesi per ergersi a drummer fisso della band. Lascia la chitarra, suo strumento preferito, per immergersi in un progetto che lo aveva di fatto entusiasmato e rapito.

Nascono così i “Pectoralz”, poi “Starfish”, ed iniziano a calcare la scena londinese con numerosi concerti, il più importante dei quali al Laurel Tree di Camden, quartiere di Londra noto per la concentrazione dei primi passi di giovani musicisti di talento britannici. Scrivono in questo periodo di fase embrionale, il testo di “Love I’m so Tired”, uno dei brani di rilievo della band. I nomi usati però non colpiscono, troppo poco d’impatto, e infatti in corsa decidono di consacrare il gruppo definitivamente, scegliendo un nome magari anche creava più empatia derivata da una buona assonanza anche: Coldplay.

Il nome fu un suggerimento di un amico di Chris, Tim Rice-Oxley, pianista che aveva deciso di abbandonare l’idea di una carriera musicale (più tardi fonderà i Keane).

I ruoli sono già di fatto definiti, Chris aggiunge la sua esperienza di oltre dieci anni di pianista per migliorare e magari completare un sound tra soft Rock e Britpop.

Sono quattro ragazzi, ognuno di un diverso luogo della nazione inglese, uniti dal caso, con un College a fare da culla ad uno dei gruppi destinati alla storia ed alla fama mondiale.

Le prime registrazioni in assoluto dei Coldplay risalgono all’aprile del 1998 al Sync City Studio di Londra con il produttore Nikki Rosetti. Stampano a fine produzione, 500 copie di “Safety”. L’Ep contiene tre canzoni che definiscono già lo stile del gruppo: la componente rock in “Bigger Strong” , una ballata a metà strada tra Jeff Buckley e Radiohead; la psichedelia leggera e sognante in “No More Keeping My Feet On The Ground”, in stile Verve; il lato acustico nella commovente “Such A Rush”, che mette subito in evidenza le grandi doti vocali in falsetto di Chris Martin.

Con il passare dei mesi, la band collezionò sempre più date, partecipa all’ Unsigned Band Festival a Manchester nel settembre del 1998, dove incontrarono Deborah Wild, la responsabile dell’A&R Consulting, attualmente webmaster del sito ufficiale del gruppo. Al concerto suonarono Bigger Stronger, No More Keeping My Feet on the Ground, Such a Rush, Panic e Only Superstition, brani che conquistarono la scena, poi inclusi nei varii EP Safety, The Blue Room e Brothers & Sisters, pubblicati dall’etichetta discografica Fierce Panda.

La Parlophone (stessa casa discografica che scoprì i Beatles), non si fece scappare l’occasione ed offrì un contratto ai Coldplay. Ora si trattava solo di togliere fuori tutto ciò che si era creato, immaginato, sognato e suonato e riversare in un Cd di presentazione.

Il nervosismo dettato anche dalla paura del fallimento (confessata da Martin stesso), creò qualche litigio e disaccordo, la band si chiude in se stessa e tira fuori “Parachutes”.

L’album ha tutto ciò che i quattro londinesi avevano da mostrare e da proporre come biglietto da visita: testi semplici e profondi, Riff ed attacchi totalmente nuovi, e la voce di nuda bellezza di un Chris Martin.

Il 10 Luglio del 2000, compare nei negozi il loro primo album.

Il singolo “Shiver” riscuote un importante successo, ma è “Yellow” che dominerà letteralmente la scena, portando il nome della band in giro per il mondo: Un testo romantico e toccante, accompagnato da un sound ad alto impatto empatico, legato ad un video che testimonia la semplicità della band che però riesce ad ipnotizzare tutti, ed infatti conquista il primo posto nelle classifiche mondiali, portando i Coldpay al titolo di miglior band emergente dell’anno.

Shiver, Yellow, Don’t Panic, Truble, creano un fenomeno di enormi proporzioni; La band suona a memoria, in maniera semplice, e grazie a ciò riesce a creare un suono pieno, completo, avvincente quindi efficace. L’ago della bilancia però, è Chris Martin. La sua voce lega all’acustico così come ai reverberi della chitarra, ed il tono del falsetto da un tocco speciale ed unico.

Certo non è l’unica cosa che colpisce in Parachutes. Il lavoro di Buckland è anch’esso notevole; non c’è una nota banale, un riff che risulti semplice e scontato. Magari non saranno scenici, ma la qualità musicale della band è altissima, così come per i testi: Parachutes sembra quasi fatto per calarsi in un’introspezione necessaria per superare stati d’animo difficili, la classica ultima pioggia prima di una memorabile alba, accompagnata da melodie create per legarsi ad ogni evento della propria vita. Parachutes è il primo dei loro album, ma di fatto uno di quelli destinati ad entrare nella storia.

Il 2001 diventa l’anno dei Tour in giro per il mondo, a conquistare consensi, fan, però tutto ciò ai Coldplay sta stretto: Vogliono tornare il quel di Liverpool ed incidere ancora.

Tornano, e non solo si ricoprono di un sound più pungente, ma riescono a creare atmosfere unite a capolavori degni di esser definiti poesie, uno su tutti: “The Scientist”.

Il secondo cd è un lavoro veloce, coinvolgente, dovuto soprattutto a Ian McCulloch, deus ex-machina degli Echo & The Bunnymen, gruppo talmente amato da Chris Martin e soci da essere spesso omaggiato dal vivo con alcune cover.

Storia del rock: I Coldplay

I Coldplay bruciano le tappe, e danno un assaggio del Cd con il singolo “In My Place”, che fa capire che nonostante il secondo album sia quello della riconferma, il gruppo c’è, e Parachutes non è stato un “caso”.

La canzone ha un suono più completo, e la vena romantica prende una veste più magica, segno di un vero sognatore.

Nell’agosto del 2002 esce A Rush Of Blood To The Head. L’album fa carpire una lieve evoluzione, più rock, ma non manca la qualità del lavoro; le prime quattro tracce”Politik”, “In My Place”, “God Put A Smile Upon Your Face” e “The Scientist” si ascoltano tutte d’un fiato, e la chiusura con “Clocks” è l’ultimo tocco per un vero capolavoro.

I Coldplay mantengono fede alla loro semplicità, nella musica, nei modi di fare, di intendere musica, e di fatto l’album rappresenta una vera pietra miliare della musica londinese.

Scoppia la Coldplay-mania, e per loro diventa un Tour di concerti a limite della distruzione; sono richiesti ovunque, ed il Live 2003 a Sidney fa capire il perché. La band crea un contatto diretto con i propri fan, un calore umano, costruito attraverso una qualità che non scema dal cd al palco.

Finito il Tour non c’è tempo per riposare, poiché la testa è colma di idee e queste vanno “tradotte” tutte in musica.

Inizia nel 2005, la prima vera trasformazione della band. X&Y mostra un’uscita dal contesto genuino e semplice della band. Si aggiungono violini, suoni intensi quanto psichedelici se vogliamo. Di fatto il livello ormai è consolidato ma forse il grande difetto è non aver tenuto fede e ciò che realmente i Coldplay rappresentavano. Resta però la vena creativa di Martin sempre invariata, e tiene una linea salda nonostante con il nuovo sound, l’approccio alla loro musica fosse meno “immediato”. “Square On” è un crescendo che tiene immobile chi ascolta prima che la melodia esploda del tutto, “What If” tiene fede alla soave voce caratteristica della band che conquista con delicatezza; Da qui si passa a “Speed Of Sound” e “Talk” che mettono a nudo la vena psichedelica che si unisce a riff di piano capaci di dare spinta e trasporto.

Di fatto però il vero capolavoro prende vita con “Fix You”. Indubbiamente la canzone più “commerciale” e magari se vogliamo abusata, rappresenta però il vero capolavoro della band Londinese. Testo scritto da Chris Martin che dedica il testo intero al lutto che colpì nello stesso anno Gwyneth Paltrow con la scomparsa del padre; Testualmente vuol dire “consolarti”, ed è un trasporto emotivo di organo ed esplosioni graduali di chitarra che portano a confrontarsi con i propri fantasmi, con quello che ci manca e che non tornerà, e l’unico aiuto che può venire dall’esterno della nostra introspezione, è la vicinanza di qualcuno con cui si crea un’assoluta empatia.

Di fatto il cd cambia le vedute, forse anche in maniera criticabile, ma non limita affatto il fenomeno ormai consolidato dei Coldplay.

Altro step e metamorfosi è il 2008. Viva la Vida, nuovo album, porta rivoluzioni interne. La produzione viene affidata a Brian Eno (ai tempi produttore degli U2, Talking Heads) e l’ingresso di questi rappresenta la completa evoluzione, riformando in pratica la vena britpop in britrock.

L’album è un omaggio continuo ai grandi del passato, intersecato a testi ed arrangiamenti di grande impatto, accompagnati dai violini di Eno che rendono il tutto più “maturo” e completo.

“42″ richiama Imagine di Lennon, “Lovers in Japan/Reing of Love” è di fatto un omaggio agli Arcade Fire, in una vera corsa di melodie complesse e di forte impatto. Il vero cambiamento però lo troviamo in “Lost” e “Violet Hill” e “Viva la Vida” “Life in a Technicolor” testimonianze di una chiusura col passato ed un nuovo inizio di un percorso musicale; Il qualunquismo esistenzialista sembra predominare, causa forse l’inserimento di un Eno che spinge troppo oltre i suoni digitali dimostrando certo un istrionismo visionario, ma i Coldplay in se non perdono colpi; Sono meno diretti, ma non risultano mai vuoti, e le vendite comunque danno ragione alla band, risultando questo l’album più venduto del 2008.

La qualità dei Coldplay comunque è di Eraclitea filosofia: tutto scorre, tutto cambia, i pensieri così come il modo di fare musica. Diventano un po’ più Pop, cercando però strade mai percorse prima. Da qui Mylo Xyloto.

Storia del rock: I Coldplay
“Chiamando l’album Mylo Xyloto abbiamo preso una pistola e ci siamo sparati sui piedi. É iniziato tutto con una prova… Ci suona fresco, è nuovo. Non significa nulla se non la musica dell’album. Forse prima che la gente sapesse cosa fossero le Snickers, anche quella parola poteva suonare strana, o Google… o Yahoo! Perciò perché non provare ad inventare qualcosa di nuovo? Abbiamo inventato qualcosa di riconducibile solo a noi, le parole così come la musica” Questa fu la spiegazione di Martin per il nome del Cd. Buckland invece ha spiegato: “E’ stato l’album che più mi ha entusiasmato. Ci ha cambiato, ha cambiato il nostro modo di vestire, ci siamo liberati del nero, siamo entrati in un periodo di colori, di luce, di trasformismo continuo. Entravamo in sala prove con un’idea e ne nasceva da lì una totalmente diversa e rivoluzionata. Abbiamo aggiunto qualcosa di nuovo che ci ha dato un genere del tutto nuovo. Ecco. Questo è Mylo Xyloto”.

L’elettronica entra in questo Cd, con “Paradise”, “Charlie Brown”, ma la Band non perde il proprio stile confermando la forza canora di Martin, come si dimostra in “Us Against The Wordl”, vera e propria ballata elegante sulla forza dell’amore.

I Coldplay cambiano genere, stile, iniziano a cucire i propri vestiti, segno che il lavoro non è mai fine alle vendite ma entra nel modo di vivere. Le luci ed i colori fanno parte della scena.

Ho avuto il piacere di vederli in concerto, il 24 Maggio dello scorso anno; Oltre la qualità della musica, e la forza che questa riesce a trasmettere ai propri fan, i Coldplay hanno reso il concerto un evento globale, capace di coinvolgere il pubblico, con bracciali colorati che si illuminano a tempo delle loro canzoni. Il pubblico è parte integrante dell’evento, senza mai trascurare il lato musicale. La vera forza della Band è riuscire a creare una vera e propria empatia con la musica come filo conduttore.

In tempi musicali e non, di grande incertezza, i Coldplay conquistano per la loro normalità, che esplode in qualcosa di grandioso. Nonostante l’evoluzione, che magari non ha riscosso il gradimento di tutti i critici, i Coldplay rappresentano la band del 2000, capace di rendere arte il concetto delle piccole cose che sanno rendere indimenticabile una giornata se non una vita intera”.

Di Ernesto D’Ambrosio

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