Se mai ci si chiedesse di collegare ad uno scrittore i termini di colpa, sofferenza e redenzione, sicuramente diremmo Dostoevskij: in lui i temi del bene e del male sono spinti così all’estremo da costituire una sensazione fisica che si impadronisce del lettore. Nessuno esce indenne dalla lettura delle sue opere, a qualunque età le si affronti: i suoi personaggi complessi diverranno una sorta di fantasma dalle molte facce che si aggirerà per tutta la nostra vita di lettori a popolare il nostro immaginario e la nostra coscienza.
All’origine di questo sentimento oscuro, la vita stessa dello scrittore: figlio di un medico alcolizzato, il giovane Fëdor Michajlovič Dostoevskij di certo desidera in segreto di eliminare il dispotico padre orco che picchia moglie e figli. Pur senza mai esser passato all’azione, coltiva dentro di sé il germe della colpa di aver anche solo pensato di commettere il crimine più grande (come non pensare a Delitto e castigo).
Crescendo, inoltre, non può far altro che ammettere di aver ereditato dall’odiato genitore alcuni tratti del suo carattere, soprattutto per l’irascibilità ed il temperamento violento. Orgoglioso, suscettibile e collerico, Fëdor sembra destinato alla solitudine: possiamo riconoscere già in lui i tratti stessi dei suoi personaggi principali.
Alla morte violenta del padre, ucciso forse dai suoi mezzadri, Fëdor è colpito per la prima volta dalla malattia che lo accompagnerà per il resto della sua vita, l’epilessia. Tuttavia, interrotta volontariamente la carriera militare che gli era stata imposta, unica sua fonte di reddito, Fëdor trova la forza per affrontare malattia, stenti e disagi pur di scrivere il suo primo libro, Povera gente (1846). Grazie a critiche favorevoli, da un giorno all’altro diventa uno scrittore famoso, accolto nei salotti letterari e conteso e ammirato dal bel mondo. Il successo gli arride, ma per pochissimo, perché i romanzi seguenti non otterranno la stessa accoglienza, anzi. Tanto era stato apprezzato, tanto ora è disprezzato: ancora una volta ritroviamo nella vita stessa dello scrittore il continuo altalenare fra estremi, bene e male, vette e bassifondi, che è tipico dei suoi romanzi.
Inasprito e indebitato, solo e incompreso, si lega sempre più ad un gruppo di giovani intellettuali sovversivi che sostengono l’abolizione della servitù della gleba e criticano aspramente il regime dello zar. Durante un periodo di repressione particolarmente forte, il 23 aprile 1849 il gruppo è arrestato: segue una condanna a morte ed una terribile simulazione di esecuzione. In realtà la sentenza è stata già commutata dallo zar in un periodo indeterminato di lavori forzati in Siberia.
In un clima senza pietà, in piena disperazione e circondato da ogni bassezza morale, Fëdor sente la propria salute scivolare verso il buio definitivo: trova invece conforto nella lettura della Bibbia, unico libro a sua disposizione, e sarà un conforto duraturo e salvifico. Il Cristo redentore, colui che perdona e purifica, sembra tendergli con mano consolatrice la soluzione ai tormenti interiori.
Una volta libero, Fëdor ritorna alla scrittura e agli stenti; come se non bastasse, cercando di recuperare dei fondi, si dà al gioco. Ma perde così tanto da esser costretto a scrivere su ordinazione, con contratti editoriali capestro. Disperato, dopo la morte della moglie e dopo aver firmato un contratto che lo obbliga a consegnare un romanzo in quattro mesi, pena la perdita dei diritti su tutte le sue opere a venire, finalmente trova il coraggio per fuggire all’estero, portando con sé la seconda moglie, la malattia e una continua povertà, aggravata dal vizio del gioco. Proprio in questo periodo tuttavia scrive i suoi più grandi romanzi, tra cui L’Idiota.
Grazie ai proventi del successo de I Demoni può rientrare a San Pietroburgo, dove risolve il problema dei debiti e trova finalmente agiatezza e tranquillità. La pubblicazione de I Fratelli Karamazov è il vero riconoscimento del suo genio e riscuote da subito un enorme successo. Tuttavia le condizioni di salute di Fëdor si aggravano e muore improvvisamente per un enfisema polmonare il 28 gennaio 1881.
Raramente la vita di uno scrittore ha contribuito così tanto alla ricchezza tragica e profonda dei suoi scritti; tuttavia il genio supera di gran lunga ed illumina di una luce sua propria ogni accadimento materiale e transitorio dell’uomo: i romanzi di Fëdor Dostoevskij ne sono il mirabile esempio.