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Storia di Neapolis: dalla Fondazione ai Sanniti

Creato il 15 aprile 2013 da Marino Maiorino
Nel post precedente abbiamo visto che, al momento della fondazione di Neapolis, possiamo distinguere almeno quattro diverse ascendenze greche per la popolazione della città, nonché l'ovvia insistenza di elementi autoctoni e, chissà, qualcosa di fenicio.
Ma la Neapolis fondata dopo la vittoria dei greci sugli etruschi era, certamente in massima parte, greca. Ricapitolando, le tracce archeologiche individuano resti micenei, rodio-calcidici, cumani e, finalmente, siracusani.
Curioso è l'assetto urbanistico del quale si dota la città nuova, con la serie di insule così tipicamente greca da essere spesso citata come “ippodamea”.
Pianta della Neapolis greco-romana

Pianta della Neapolis greco-romana del Capasso. È evidente la trama regolare, cosiddetta “ippodamea”, di vie che suddivide la città.

C'è un problema: Ippodamo da Mileto, il padre dell'urbanistica ad insulae che reca il suo nome, al tempo della fondazione di Neapolis (evento datato intorno al 480 a.C.) non aveva ancora cominciato la propria attività. Gli studiosi risolvono il problema osservando che, in realtà, la disposizione ad insulae era una conquista che si stava affermando in tutto il mondo greco in quel periodo, e merito di Ippodamo fu il sistematizzare la cosa, più che inventarla.
Nondimeno, è ancora la pianta di Neapolis a sottolineare che il nuovo quartiere non sorge come qualcosa del tutto nuovo: ancora oggi si riconosce nella parte più alta della Neapolis, corrispondente ad un nucleo a pianta quasi circolare e delimitato da Via Pisanelli, Via San Paolo e Vico Purgatorio ad Arco, quello che doveva essere un borgo ancora più antico, successivamente assorbito nella città nuova.
Il nucleo di Neapolis

Il nucleo più antico di Neapolis, preesistente alla fondazione della città greca nel 480 a.C.

Quanto pesò l'influenza di Siracusa sulla nuova città? Non molto, pare: Gerone I fece appena in tempo a sconfiggere gli Etruschi nelle acque di Cuma, che già dovette abbandonare il potere.
Tanto più è evidente la caduta dell'influenza siracusana, che solo quarant'anni dopo, all'apice della talassocrazia ateniese, Neapolis riceveva la visita ufficiale del navarca Diotimo.
A Diotimo si deve la restaurazione del culto della Sirena (in chiave anti-siracusana, dal momento che Atene sotto la guida di Pericle era in piena fase espansiva, e Siracusa forniva derrate a Sparta) e l'istituzione delle lampadodromie (sempre in onore della Sirena). Le feste Parthenopee divennero successivamente importanti come poche, in esse si univano agoni ginnici e poetici: una specie di Olimpiadi e Emmy Awards svolti tutti insieme!
Con Diotimo, Neapolis fu popolata anche da coloni provenienti da Atene, sicché un'altra famiglia di greci si aggiunse a quelle già presenti in città.
La parola “famiglia” non l'ho scelta a caso, giacché in Neapolis come in molte altre polis greche esisteva l'istituto della fratría, una sorta di clan allargato che fungeva anche da intermediario burocratico tra il cittadino e la polis. A Neapolis sono state trovate tracce di diverse fratríe, alcune delle quali con nomi evidentemente legati alla provenienza dei loro membri.
Si notano ad esempio i Kymei (da Cuma), gli Eubei (dall'Eubea), gli Eumelidi (da Eumelo Falero, il mitico fondatore della città) e gli Eunostidi (da Eunosto, figlio di Ileo, re della Beozia). Altri hanno voluto riconoscere altre fratrie delle quali si è meno certi.
Ma la storia fece naufragare le mire espansionistiche di Atene proprio a Siracusa: nel 413 a.C. l'assedio mandato dalla città greca non riuscì a domare la pentapoli siciliana e Atene, troppo esposta su troppi fronti, cadde.
Nel frattempo, Neapolis aveva cominciato a sentire la pressione di altre popolazioni, autoctone, sulle sponde del Sinus Cumanus, il suo golfo. I Sanniti stavano prendendo lentamente possesso di tutte le città marinare (Dikearchía era stata presa nel 421 a.C, Cuma nel 420), e solo Neapolis si salvò, permettendo però che un'enclave di Sanniti potesse abitare entro le sue mura. Ciò la salvò per il momento da sorte peggiore, e gettò le basi per la seguente grande sfida, quella contro i Romani.

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