2007/2008
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Qualche ora più tardi, affacciato al balcone, scrutavo la strada leggermente ansioso. Sapevo di che di lì a breve sarebbe passata Floria a portare i bagagli.
Ero curioso di osservarla da sola in strada, come se cogliere qualche attimo in più di quella ragazza potesse farmela conoscere un po’ meglio. Ma, tra i mille passanti di una giornata milanese d’inizio ottobre, era diventato un problema riuscire a distinguerla tra la folla. Supponevo che, in quel lasso di tempo, non si fosse cambiata d’abito e che avesse mantenuto il lungo cappotto scuro su cui spiccava un grosso cappuccio pelliccioso. Immaginavo di vederla sbucare dall’uscita della metro e, quindi, guardavo in quella direzione. Però, come spesso mi accade, non sempre ciò che immagino risulta avvenire davvero. Anzi, più sforzo la fantasia e più viene disillusa. Infatti, mentre fissavo il fondo della via, l’azione da me immaginata si stava svolgendo da tutt’altra parte. Esattamente cinque piani sotto di me, al livello della strada, una macchina blu si era fermata davanti al portone del palazzo. Un signore moro, sulla quarantina era uscito e aveva aperto il bagagliaio. Non diedi troppo peso a quella scena. Decine di macchine si fermavano tutti i giorni davanti ai palazzi della strada a svuotar valigie. Quando però, dal posto passeggero della piccola utilitaria blu, scese un’esile ragazza dai capelli castani, capii che si trattava proprio della mia futura coinquilina.
Era così strano vederla da lontano. Come se stessi osservando lo svolgersi di un film già visto. Di cui conoscevo già le scene successive.
“Tra poco suonerà il citofono…” pensai.
Floria, qualche metro più in basso, salutò con un bacio sulla guancia il suo sconosciuto accompagnatore. Entrambi, poi, presero direzioni diverse: Floria si avvicinò al portone e la macchina che l’aveva accompagnata, sfilò via seguendo il traffico milanese.
Suonò il citofono.
Corsi in casa ad aprire, fingendo di non conoscere chi ci fosse dall’altro lato. Con un rapido gesto, schiacciai il tasto del portone e riappesi subito la cornetta. Impacciato sul da farsi, gironzolavo nell’ingresso fino a quando il mio spirito protettivo non prese il sopravvento.
“Beh… potrei andare ad aiutarla…”
Uscii sul pianerottolo e vidi che l’ascensore non era ancora stata chiamata da nessuno.
“Avrà sbagliato scala…”
Spinsi il tasto di chiamata e l’ascensore fu subito da me. Entrai e scesi al piano terra.
Trovai Floria nell’ingresso del palazzo che si guardava intorno imbarazzata.
- Ah! Menomale che sei sceso! Non ricordavo più la scala! -
- Tranquilla… scala A, vieni, dammi una valigia. -
Le sorrisi e lei ricambiò, e spostammo le due enormi valigie viola verso l’ascensore.
- Speriamo che c’entrino! – dissi.
- C’entreranno… sono entrate in ascensori più piccoli di questo! – rispose ironica.
- Perchè? Esistono ascensori più piccoli di questo? – chiesi con finta curiosità.
- Prima ero in viale Argonne, e l’ascensore era molto più stretto di questo! Ho dovuto mettere le valigie una sopra l’altra! -
- In due di certo non ci saremo stati! – dissi chiudendo a fatica le porticine dietro di me.
Schiacciai 5 avendo cura che Floria vedesse il piano della sua futura casa.
L’ascensore si mosse ed io e lei fissammo silenziosi i piani che scorrevano. Il silenzio diventò imbarazzante, com’è solito negli ascensori. Fortuna che lei, con una domanda tagliente, spezzò il solido ghiaccio che si stava formando.
- Mah… ti piacciono i film? -
continua…
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