E’ di questi giorni l’uscita nei cinema di “ Marilyn”, pellicola discussa a cui ci ha già introdotto mirabilmente V. La rubrica “Storia di una fotografia” non poteva non accodarsi e rendere omaggio ad un personaggio che ha ammaliato gli artisti più importanti dell’epoca e affascinato i fortunati fruitori degli scatti figli di quelle sessioni fotografiche.
Ed in effetti il bacino da cui attingere per raccontare di fotografia e di Marilyn Monroe è sterminato al punto da rispolverare l’espressione “l’imbarazzo della scelta”: dopo tre giorni passati – ammetterò piacevolmente – a sfogliare gallery sulla bionda più celebre della storia, ho però deciso di selezionare una immagine certamente celebre ma infinitamente meno pubblicata di molte altre. Sarebbe stato forse più facile appiccicare qui sotto una Marilyn con gonna svolazzante od un primo piano reso famoso dalle interpretazioni pittoriche di Warhol, ma – complici anche un momento particolare e l’innegabile magia del bianco e nero – sono rimasto fulminato da uno scatto di Eve Arnold sul set di “The Misfits”, e ho avvertito un bisogno quasi fisico di condividerlo.
L’autrice della fotografia, Eve Arnold, è stata probabilmente fra le più grandi interpreti di questa arte: nata nel 1913 e scomparsa quasi centenaria, è stata la prima donna a collaborare con Magnum, ha avuto l’onore di una personale al British Museum e raccolto una quantità di premi e riconoscenze per la sua attività di fotoreporter e ritrattista che farebbero l’invidia di qualunque possessore di reflex al mondo. Nel 1960, Eve segue – proprio da associata Magnum – le riprese di “The Misfits” (Gli spostati), film sceneggiato da Arthur Miller e diretto da John Huston. Tra gli interpreti, spiccano i nomi di Clark Gable e – naturalmente – Marilyn Monroe: per entrambi, si tratterà dell’ultima pellicola girata. Se per Gable si trattò di un infarto occorso poco dopo la fine delle riprese, a distanza di anni – commentando questo scatto – Eve Arnold ricordò:
Le piaceva questa foto di donna solitaria immersa nel suo lavoro. Era come se stesse urlando ‘Aiutatemi, sono in pericolo’. Ma nessuno la ascoltò.
Una bella fotografia, lo abbiamo sempre detto, deve essere in grado di raccontare una storia. Questa immagine – scattata qualche secondo prima dell’inizio di una scena – è uno splendido racconto breve di sapore quasi letterario: come si addice ad un ritratto ambientato, il macchinario inquadra la scena da un punto di vista narrativo, la desolazione del set naturale fa emergere con forza il viso e l’espressione di una donna fragile, concentrata sul suo lavoro eppure assorta in pensieri che sembrano voler presagire un epilogo tragico.