Storia di una ladra di libri – Emozioni a tempo

Creato il 28 aprile 2014 da Raystorm

E’ ancora possibile mostrare eventi conosciuti da una nuova prospettiva e rendendo il tutto incisivo allo sguardo? La risposta è un semplice “SI”. Dopo il debordante e intoccabile capolavoro Spielberghiano che è “Schindler’s List”, la seconda guerra mondiale può (deve?) essere raccontata senza aver paura della morte (o di riscriverne i percorsi come i bastardi di Tarantino), motore propulsivo di ogni conflitto bellico. Ed è proprio quest’ultima a narrare la storia della piccola Liesel Meminger, del fratello che porta nel suo cuore, di un padre non impaurito dall’essere un animo gentile nel periodo sbagliato, ed infine dell’amore per la lettura e i mondi fantastici che solo la scrittura può costruire nell’infinito dell’altrui immaginazione. Ma mentre la piccola orfana prende vita e coscenza di ciò che sta vivendo, il film di Brian Percival si piega fin troppo all’accomodamento dello sguardo, causando la precoce morte dei sentimenti di cui il racconto è portatore. La possibilità di cambiare punto di vista dovuta al bizzarro narratore della vicenda ed ai bambini protagonisti, poteva regalare derive visive uniche, ma il regista si sottomette al volere del racconto cartaceo innegabilmente fuori della sua portata, sin dalla prima sequenza con cui la voce narrante fuori campo ci cala nelle vite dei protagonisti. Le scelte di adattamento nei confronti di testi tanto amati dal pubblico è operazione complessa, lo sa bene Baz Luhrmann anche lui alle prese con un racconto ben al di sopra delle sue possibilità (“Il grande Gatsby”), decise di inglobarlo nel corpo del suo cinema piuttosto di intraprendere la crociata della riscrittura visiva. “Storia di una ladra di libri” invece, consegna al cast di attori una tavola dal sapore televisivo su cui plasmare i sentimenti racchiusi nelle parole, nobilitando tutta l’operazione con una colonna sonora capace di far sognare e commuovere più di quanto questo enorme ed oscuro spettacolo per famiglie meriti. Quello che inizialmente si configura come racconto formativo, inserito in un contesto capace di sposare sguardi di ogni età, ben presto si trasforma in un viaggio di sola andata verso lacrime e sentimenti programmati, grazie più alle prove attoriali che non ai fatti narrati, in quanto qualsivolgia atmosfera è del tutto estranea al film stesso, restituita agli occhi come una fotografia sbiadita dal tempo. Brian Percival dirige con poca decisione una pellicola affascinante ma dalle moderate ambizioni, nonostante un elettrizzante incipit facesse sperare il contrario, ci ritroviamo a osservare un film delicato e riuscito, che non regala momenti veramente indimenticabili.


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