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Storia e cronistoria della Trattativa Stato-Mafia (parte 2) - Il Fatto della Settimana

Creato il 07 luglio 2012 da Matteviola90
Storia e cronistoria della Trattativa Stato-Mafia (parte 2) - Il Fatto della Settimana La ventesima puntata del Fatto della Settimana con Simone Ferrali. Ecco la descrizione, sotto trovate il video e l'articolo. Se volete iscrivervi al canale youtube del Fatto: http://www.youtube.com/user/IlFattoSettimana
"La seconda parte della Trattativa tra Stato e Mafia è quella portata avanti da Dell'Utri e Berlusconi: il primo era il mediatore tra Cosa Nostra e il Cavaliere; il secondo accontentava la cosca siciliana, approvando leggi su leggi ad mafia."

Ecco l'articolo:
La scorsa settimana ci siamo occupati di quella che viene considerata la prima parte della Trattativa tra Stato e Mafia (Storia e cronistoria della Trattativa Stato-Mafia (parte 1)) , oggi invece parleremo della seconda, ovvero quella che vede come protagonisti Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri. Quest'ultimo, che aveva assunto un ruolo importante nella prima fase del dialogo tra Istituzioni e Cosa Nostra diventa fondamentale nella fase successiva, in quanto agsce per favorire la ricezione delle istanze mafiose al Cavaliere. Non voglio parlare nuovamente dei rapporti del Caimano con la Mafia, tantomeno della pioggia di liquidità che arrivò dai conti svizzeri nelle casse della Fininvest nel 1978 e neanche di tutte le leggi ad mafiam fatte approvare dal Piazzista di Arcore: sarei ripetitivo e monotono, visto che a tutto ciò gli abbiamo già dedicato un Fatto della Settimana (Grasso col vuoto: tutte le leggi ad mafiam di Mr. B.). Però non posso esimermi dal dire che il Cavaliere ha assecondato le istanze mafiose ed ha fatto sì che la Trattativa proseguisse. Storia e cronistoria della Trattativa Stato-Mafia (parte 2) - Il Fatto della Settimana Dell'Utri invece è colui che ha appreso dai vari mafiosi le richieste di Cosa Nostra e le ha girate allo Statista di Arcore. Una volta arrestato Riina, Provenzano capisce che il braccio destro del Cavaliere è il mediatore perfetto e alla fine del '93 nega il suo appoggio a “Sicilia Libera”, per garantire voti e aiuti al “neonato” Forza Italia, che vede tra i fondatori anche Marcello Dell'Utri. Sicilia Libera è un partito secessionista fondato da Leoluca Bagarella (che, come avevamo già detto la scorsa volta, è il cognato di Riina), con l'aiuto di Giovanni Brusca, sotto le direttive di Totò Riina (che in quel momento è in carcere) e Bernardo Provenzano. Proprio Brusca, che è un collaboratore di giustizia fondamentale per il processo sulla Trattativa, ad anni di distanza afferma che che Forza Italia è il partito che accolse le richieste mafiose. Un altro pentito invece, Nino Giuffré, aggiunge che per la prima volta nella sua vita, Bernardo Provenzano si sbilanciò per appoggiare il partito di Berlusconi. Sempre secondo Giuffré, il boss mafioso affermò: “Con Dell'Utri siamo in buone mani”, e da lì in poi Cosa Nostra si mise a lavorare per Forza Italia. Anche altri pentiti confermano il ruolo di uomo-cerniera tra Stato e Mafia, ricoperto dal braccio destro di B.. Uno su tutti è Gaspare Spatuzza che, al processo Mori-Obinnu (processo sulla Trattativa), ha parlato di un incontro tenutosi nel 1994 al Bar Donkey di Roma con Giuseppe Graviano, alla vigilia del programmato, e per fortuna mai verificato, attentato allo Stadio Olimpico di Roma. Durante il rendez vous Graviano confessa a Spatuzza che la Mafia si è messa “il Paese nelle mani”, grazie a Berlusconi e Dell'Utri. Di lì a poco inizia il do ut des tra lo Stato canaglia e Cosa Nostra: il primo ammorbidisce le pene per i mafiosi e riduce gli strumenti a disposizione dei pm per contrastare i boss; la Mafia invece, tramite il suo leader Provenzano, prima isola, e poi “consegna (fa arrestare)” allo Stato i fratelli Graviano (1994), Bagarella (1995) e Brusca (1996), rappresentanti dell'ala estremista della cosca, favorevole agli attentati omicidi. Storia e cronistoria della Trattativa Stato-Mafia (parte 2) - Il Fatto della Settimana Raggiunto l'obiettivo di far vincere le elezioni a Forza Italia, inizialmente Cosa Nostra rimane in contatto con Dell'Utri (che continua ad essere l'intermediario tra la Mafia e B.) tramite Mangano (l'ex fattore di Arcore). L'allora manager di Publitalia e l'ex fattore si incotrarono due volte sul Lago di Como (nella villa di Dell'Utri), nel dicembre 1994. Questi incontri sono stati confessati dal collaboratore di Giustizia Salvatore Cucuzza, reggente della famiglia Porta Nuova in accoppiata con Mangano. Il pentito, che è ritenuto attendibile dal Tribunale di Palermo, nella sua testimonianza ha spiegato dettagliatamente cosa è avvenuto negli incontri tra il braccio destro di B. e l'amico Mangano. Le sue dichiarazioni sono approfondite anche dal punto di vista giuridico: si evince quindi che non essendo un fine giurista, ma un ex mafioso poco preparato in materia, deve avere appreso da qualcuno queste informazioni. Quel qualcuno è Vittorio Mangano. Cucuzza spiega che questi incontri rappresentano la continuazione della Trattativa: l'ex fattore porta avanti le richieste di Cosa Nostra, chiedendo che sia attutato un alleggerimento legislativo delle disposizioni contro la criminalità organizzata. Dell'Utri promette che entro il gennaio 1995 saranno approvate leggi favorevoli alla Mafia (il governo Berlusconi I cade poco dopo gli incontri Dell'Utri-Mangano, quindi non fa in tempo a mantenere le promesse fatte nei confronti della Mafia. In soccorso di Dell'Utri e B. arriverà il governo Dini, che riuscirà ad approvare una regolamentazione in materia favorevole alla Mafia, più di quanto la Mafia stessa si aspettasse) ed in cambio chiede che Cosa Nostra si astenga dal compiere omicidi o sequestri di personalità pubbliche di indiscusso carisma (positivo o negativo che fosse). Cucuzza poi racconta che già nel Decreto Biondi (che non verrà poi convertito in legge, ma che contribuirà a scarcerare 2764 detenuti, nei sette giorni in cui rimane in vigore) era presente un articolo, favorevole alla Mafia e fortemente voluto da Gaetano Cinà (mafioso ed amico di Dell'Utri e Mangano), che modificava gli arresti per 416-bis (concorso esterno in associazione mafiosa); nel testo definitivo del decreto questo punto viene cancellato, ma è pronto per essere inserito nel provvedimento di cui parla Dell'Utri a Mangano, che fra le tante cose prevede lo stop all'arresto automatico per gli indagati di associazione mafiosa, l'abrogazione dell'articolo 371-bis, l'accorciamento dei tempi della custodia cautelare e molto altro ancora. Per fortuna il governo cade e non riesce ad approvarlo. Ma come è stato scritto dalla procura di Palermo, la seconda parte della Trattativa ha un inizio, ma non una fine. Non esiste un termine finale. Quindi il dialogo tra Stato e Mafia va avanti anche negli anni successivi: la lotta alla Mafia esce dall'agenda dei partiti politici (non solo da quella di Forza Italia) e ogni tanto si notano chiari segni di continuazione della Trattativa. Storia e cronistoria della Trattativa Stato-Mafia (parte 2) - Il Fatto della SettimanaUn esempio su tutti che spiega le considerazioni appena fatte? Il 12 luglio 2002, la Corte d'assise di Trapani giudica una quarantina di mafiosi, in contatto con l'aula tramite webcam. In collegamento ci sono anche Totò Riina da Ascoli e Bagarella da L'Aquila. Con un “fuori evento”, Bagarella prende la parola, rompendo un silenzio secolare, e legge una dichiarazione spontanea a nome di tutti i detenuti 41-bis del carcere abruzzese (quindi non solo mafiosi, ma anche n'dranghetisti e camorristi). Il cognato di Riina dice: “A nome di tutti i detenuti ristretti presso questa casa circondariale dell'Aquila, sottoposti all'articolo 41-bis, stanchi di essere strumentalizzati, umiliati, vessati e usati come merce di scambio dalle varie forze politiche (notare bene queste ultime parole, ndr), intendiamo informare questa Eccellentissima Corte che dal giorno 1° luglio abbiamo iniziato una protesta civile e pacifica che consiste nella riduzione dell'aria (delle ore d'aria, ndr) […] e del vitto delle battiture sulle grate a tempo. […] Tutto ciò cesserà nel momento in cui le autorità preposte in modo attento e serio dedicheranno una più approfondita attenzione alle problematiche che questo regime carcerario impone e che più volte sono state esposte le quali da dieci anni […]”. Nella stessa giornata, la direttrice del carcere di Ascoli informa la procura di Palermo, che i detenuti sottoposti all'articolo 41-bis hanno iniziato lo sciopero della fame. La protesta è capeggiata da Giovanni Avarello, condannato a undici ergastoli (fra le sue vittime c'è anche il giudice Livatino), Salvatore Montalto e Domenico D'Ausilio. Nella stessa nota riservata inviata alla procura di Palermo seguono i nomi dei mafiosi che hanno promesso omicidi ed attentati nel caso in cui non fosse addolcito il regime di 41-bis. Le parole di Bagarella pesano come mattoni: con chi ce l'ha la Mafia? Chi sono i politici che hanno sedotto e tradito Cosa Nostra? Intanto nelle carceri i mafiosi continuano a ripetere: “Iddu pensa solo a iddu”. Chi è Iddu? Sarà mica un presidente del Consiglio che fa di tutto per difendere sé stesso e le sue aziende? Mistero... Storia e cronistoria della Trattativa Stato-Mafia (parte 2) - Il Fatto della Settimana Pochi mesi più tardi, esattamente il 19 dicembre 2002, il Parlamento approva la legge 279 che trasforma il 41-bis da provvedimento straordinario, rinviato di sei mesi in sei mesi in via amministrativa dal Guardasigilli, a provvedimento stabile dell'ordinamento penitenziario. Senza sapere quello che succederà di lì a poco, potreste pensare che un governo Berlusconi ha fatto qualcosa contro la Mafia. Seh, campa cavallo che l'erba cresce (o come dicono dalla mie parti che la guerra è finita)... Il giorno seguente infatti B. si scusa subito per l'incidente di percorso, affermando che il 41-bis è un provvedimento necessario, ma risponde ad una “filosofia illiberale”; d'altra parse si sa, il Cavaliere ha un concetto di filosofia liberale un po' alternativo. L'uscita di B. rappresenta l'ennesima genuflessione nei confronti di Cosa Nostra ed è una giustificazione (ovviamente) non dovuta, ma voluta. E non è finita. Dietro la legge 279 c'è l'inghippo, ma questa volta è ben nascosto, tantoché inizialmente nemmeno i mafiosi se ne accorgono e il 22 dicembre protestano durante la partita Palermo-Ascoli (quest'ultima è la squadra della città dove è detenuto Riina), esponendo uno striscione che recita: “Uniti contro il 41-bis, Berlusconi dimentica la Sicilia (si scoprirà che è stato scritto dal figlio di un mafioso condannato al regime di carcere duro, ndr)”. Da questo striscione si capisce che il Cavaliere ha promesso qualcosa alla Mafia ed ha un debito nei confronti di essa. Un debito che in parte si colma grazie alla legge 279, che per colpa di difficoltà interpretative, fa uscire dal regime di carcere duro 72 boss mafiosi (su 637) in un solo anno. Cosa Nostra ringrazia. B. non è indagato nel processo Mori-Obinnu, ma sicuramente ha giocato un ruolo fondamentale nella seconda parte della Trattativa: ha assecondato le richieste di Cosa Nostra; non ha denunciato le intromissioni mafiose; si è tenuto a fianco (e continua a tenerselo ben stretto) Marcello Dell'Utri, ed ha portato in Parlamento anche altri mafiosi e coschisti vari. E pensare che una volta disse: “Rapporti con la Mafia ne ho avuti una volta soltanto, vent'anni fa, quando tentarono di rapire mio figlio Piersilvio”. Storia e cronistoria della Trattativa Stato-Mafia (parte 2) - Il Fatto della Settimana Comunque, per capire che B. non è tanto lontano dalla Mafia, non importa vedere cosa hanno fatto i suoi governi...basta lasciarlo parlare. Nel 2003, il Cavaliere si espresse nel seguente modo: “I magistrati sono doppiamente pazzi. Prima perché lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque: per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana”. Frasi che in un Paese normale avrebbero messo in croce il presidente del Consiglio, soprattutto se qualcuno avesse notato la loro somiglianza, con le parole pronunciate 14 anni prima da Luciano Liggio, killer e boss, durante un intervista rilasciata ad Enzo Biagi: “Quando il giudice mi ha interrogato, mi sono accorto che mi trovavo di fronte a un ammalato. Se dietro a varie scrivanie dello Stato ci sono degli psicotici la colpa non è mia. Perché non fanno delle visite adeguate a questa gente, prima di affidare loro un ufficio?”. Adesso rileggete sia le dichiarazioni di Berlusconi, sia quelle di Liggio, dopodiché trovate differenze. Se proprio non ci riuscite, cercate le somiglianze... di Simone Ferrali

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