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Una settimana… tanto ho pensato a cosa scrivere in questo post dedicato alla notte più spaventosa di tutte. E… e nulla, zero, vuoto assoluto! Ci credereste? Avevo pensato di parlare di film, ma tanto lo fanno tutti. Poi ho riflettuto se fosse il caso di fare un bello specialone sulla letteratura horror, ma anche questo mi sapeva di già visto. Il problema è proprio questo, ormai, sulla paura, si è detto tutto. O quasi… Sono pochi i lati non ancora esplorati, le pieghe del terrore che non sono, in un modo o nell'altro, state saccheggiate da registi scrittori e disegnatori. Senza dimenticare i musicisti, visto che esiste un nutrito numero di soundtrack che sulla paura ci hanno campato per anni. Quindi, cosa fare per questo halloween?
A questo punto mi sono ricordato di una cosa… Proprio un anno fa, più o meno in questo periodo, ero alle prese con la lettura di un libro che penso conosciate tutti… Eh sì, proprio lui, l'unico , inimitabile pagliaccio! Sto parlando di IT, quello che a detta di molti è considerato il capolavoro massimo di Stephen King, e che da anni spaventa lettori di tutto il mondo. E, no, non era la prima volta che lo leggevo…
Ma parlare di IT non è mica facile, che credete? Si potrebbe scrivere una bella recensione, ma non renderebbe giustizia a tutto quello che è racchiuso in questo volume, che in realtà nasconde ben più di quello che vuole mostrare. Ma cosa ha reso IT quello che è oggi? Di certo la primissima cosa che va riconosciuta a King è lo stile con cui ha narrato la storia dei sette perdenti e del pagliaccio IT. Uno stile che risulta interessante ancora oggi e che, nonostante siano passati quasi 30 anni, mantiene ancora il brio e la scorrevolezza che aveva il primo giorno. Ma non è tutto qui, questo è solo il principio… La vera forza di questo romanzo sta nel modo in cui è riuscito a rappresentare due epoche, completamente differenti l'una dall'altra ma al tempo stesso legate a doppio filo. Gli anni 60, con il loro rock'n roll, i frappè gelati, le automobili luccicanti e i capelli impomatati da chili di brillantina. Era il periodo della musica che spingeva a battere il piedino, dei divertimenti trovati nelle piccole cose e delle pin-up che apparivano nei paginoni centrali delle riviste per adulti. E King, in tutto questo, ha inserito sette ragazzini, con le loro paure, i loro difetti e le loro forze. Quindi è naturale immedesimarsi, vivere nei panni di Bill o di Ben, sentendosi come se fossimo lì, alla discarica, mentre costruiamo una diga e gli spiccioli ci tintinnano nelle tasche. Forse è proprio per questo che è così semplice avere paura ogni volta che IT si presenta al cospetto di uno di loro, con forme orribili e rimandi a quello che davvero è nascosto nel loro cuore. La loro stessa semplicità si trasforma qui in un'arma, una perfetta arma che dilania le loro sicurezze e li spinge a vacillare sull'orlo di un baratro. Siamo stati tutti bambini e tutti quanti abbiamo, chi più e chi meno, avuto paura delle stesse cose. Il buio, i mostri, cliché che nelle nostre menti si trasformavano in orrori indicibili e che al mattino dopo svanivano, magari sotto al letto o dietro l'anta dell'armadio.
E da questo si passa agli anni 80, un balzo che sembra stravolgere tutto, senza però farlo davvero. Perché in fondo è così: le cose, per quanto sembrino cambiare, rimangono le stesse. Cambiano le mode, cambia la musica e le abitudini, ma quello che i sette perdenti avevano, lo possiedono ancora. E come loro anche noi ci portiamo dietro le nostre paure, fino a quando perlomeno non troviamo il modo di combatterle e liberarcene una volta per tutte. E proprio come Bill, quando ormai cresciuto rimette i piedi sui pedali di Silver, torniamo bambini, ricordando la spensieratezza, il delirio di quei giorni e la passione che mettevamo nelle piccole cose. Ma non tornano solo quelle… Insieme c'è la paura, quel terrore che si credeva sparito ma che, in verità, non se n'era mai andato. Si era sopito, nascosto tanto bene da essersi fatto dimenticare, così da colpire ancora più duro quando tutto torna a galla, quando la verità dell'orrore si palesa e ci dice,s enza mezzi termini "ehi, io sono ancora qui, e ti aspetto!" E così tutto si ripete, il cerchio si chiude e la ruota torna a girare, sporca stavolta del sangue di un amico ormai perduto. Perché non tutti sono forti, non tutti riescono ad affrontare quel dormiente senza subirne il colpo in maniera profonda.
Quello che fa paura in IT è proprio la sua plausibilità, il suo vendersi come qualcosa di reale. Un reale che però si maschera da pagliaccio, da simbolo di risate e divertimento. Lo abbiamo già detto perché, no? Perché così fa più male, lacera e distrugge quelle certezze che tutti noi dobbiamo avere per andare avanti. E quando anche quelle crollano non rimane più nulla su cui sperare, nulla in cui valga la pena perdere tempo o forze. Si finisce per aspettare la fine, inermi, come piccoli bambini nel corpo di adulti, che non sono voluti crescere e che ancora ripensano a quella diga, alle risate prima dell'orrore, alla vita prima della morte.
Ecco, questo è It e se non lo avete ancora letto… be', mi dispiace, e non perché non avete avuto la possibilità di leggere un grande libro, no. Il mio dispiacere è per voi, che non avete avuto modo di vedere l'orrore e di farvelo piacere, di sperare in un futuro migliore e di scoprire, a conti fatti, che forse non si cresce mai del tutto. Che quell'anta non rimarrà chiusa per sempre… Che sotto al letto forse non c'è solo polvere...
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