lunedì sono stata a fare un piccolissimo intervento in day hospital a ginecologia.
l’appuntamento era alle due e mezzo, impegnative del medico alla mano, arriviamo verso le due e scopriamo che hanno dato l’appuntamento alle due e mezzo anche ad altre cinque signore.
come sempre succede in questi casi il primo approccio delle sei “candidate” non è stato amichevole.
“io sono arrivata per prima, mi faranno per prima…” diceva una signora.
“credo che chiamino nello stesso ordine con il quale ci hanno telefonato a casa”, rispondeva un’altra, sperando di essere stata lei la prima.
“andranno in ordine alfabetico” diceva la signora Abaco.
ma nessuna diceva quello che pensava veramente:
“ho un po’ paura”.
alla fine, la più coraggiosa, o la più spaventata, o tutte e due le cose insieme ha confessato: “ma siam tutte qui per la stessa cosa, immagino, qualcuna l’ha già fatto?”
e la veterana, che non manca mai in una situazione del genere si è paventata.
“sì, io l’ho già fatta, non è nulla, non fa troppo male, solo un po’ fastidioso ma non fa male”.
alla fine ci hanno chiamato, smentendo ogni previsione.
ci hanno chiamato tutte insieme.
dopo un breve passaggio in uno spogliatoio ci siamo ritrovate, ognuna sul suo letto, con una camicia da notte comprata per l’occasione e la cuffietta in testa.
eravamo improvvisamente tutte uguali.
niente tacchi, vestitini, magliette colorate o minigonne o tute da ginnastica. tutte donne, tutte simili.
c’erano una ragazza della mia età, due signore di una sessantina d’anni, una ragazza appena un po’ più grande di me con un bimbo di cinque anni che l’aspettava a casa.
e poi lei.
nella sala d’aspetto una prugna secca classica, alta un metro e mezzo, abbronzata come un mocassino, trenta chili in tutto, tacchi vertiginosi, reggiseno imbottito, capelli usciti dal parrucchiere amante della piastra e del nero corvino.
seduta sul letto una donna fragile, spaventata, con una camicina da notte celeste e le ciabatte, che non smetteva mai di parlare per placare il nervoso.
“ho vòglia di fumà una sigaretta! secondo vòi si pole?” sfoderando l’accento tipico di seravezza.
“mi sa di no”, rispondeva con un sorriso una di noi.
piano piano il clima si è disteso, la prugna secca ha fatto domande a tutti, di dove eravamo, come mai avevamo scelto la versilia, che si faceva nella vita, e ognuna era contenta di presentarsi, obbligata dai modi un po’ bruschi della prugna che faceva da catalizzatore di discorsi.
a una signora di sarzana ha detto: “anche la mi’zia rosa era di sarzana, léi la conosce, la rosa di sarzana?”
poi i discorsi sono passati ad argomenti più da gineceo.
“certo che noi donne siamo complicate eh… se ne ha, di triboli… quando ho partorito pensavo di morì… ah ma infatti ho fatto un figliòlo solo, un n’ho più voluto sapé nulla, sedici ore di travaglio, avevo diciannove anni, la prima cosa che chiesi appena partorito fu una sigaretta… andai nel bagno, ero curiosa, ero una ragazzina, che volete, mi pareva incredibile che un figliòlo fosse passato proprio da lì, non mi capacitavo… allora presi uno specchio, l’appoggiai sul bidé e me la guardai. mi prese un colpo. sembrava trippa. oh che topa m’han concio? tornerà mai normale?”
le risate della camerata si sono sentite fino nella sala operatoria.
poi ci hanno chiamato, una alla volta, ero quinta, la prugna secca terza.
quando è tornata era arrabbiatissima.
“ero lì sul lettino e passavano medici avanti e indietro. a un certo punto ho detto: oh, il prossimo per vedé deve pagà! non sto mica qui con la passera all’aria gratis!”
ne siamo uscite tutte, tutte con notizie rassicuranti sul “pian di sotto” e tutte sollevate di andare via.
“pronto, mamma? sì, sono appena uscita, sì, tutto a posto, è andato tutto bene e, se si può dire, mi sono pure divertita!”
“oh bene, sono proprio contenta! Luci, abbiamo vinto! da tutte le parti! Milano, Napoli, Cagliari, Novara, Trieste, abbiamo vinto, abbiamo vintooooooo!”
abbiamo vinto.