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“Storie di ordinaria follia. Erezioni, eiaculazioni, esibizioni” di Charles Bukowski

Da Vivianap @vpicchiarelli

71zKQ1zdvQL._SL1354_La biografia di Bukowski include due tentativi di lavorare come impiegato, dimissioni dal “posto fisso” a cinquant’anni suonati, “per non uscire di senno del tutto” e vari divorzi. Questi scarsi elementi ricorrono con insistenza nella narrativa di Bukowski, più un romanzo a disordinate puntate che non racconti a sé, dove si alternano e si mischiano a personaggi ed eventi di fantasia. “Rispetto alla tradizione letteraria americana si sente che Bukowski realizza uno scarto, ed è uno scarto significativo”, ha scritto Beniamino Placido su “La Repubblica”, aggiungendo: “in questa scrittura molto “letteraria”, ripetitiva, sostanzialmente prevedibile, Bukowski fa irruzione con una cosa nuova. La cosa nuova è lui stesso, Charles Bukowski. Lui che ha cinquant’anni, le tasche vuote, lo stomaco devastato, il sesso perennemente in furore; lui che soffre di emorragie e di insonnia; lui che ama il vecchio Hemingway; lui che passa le giornate cercando di racimolare qualche vincita alle corse dei cavalli; lui che ci sta per salutare adesso perché ha visto una gonna sollevarsi sulle gambe di una donna, lì su quella panchina del parco. Lui, Charles Bukowski, “forse un genio, forse un barbone”. “Charles Bukowski, detto gambe d’elefante, il fallito”, perché questi racconti sono sempre, rigorosamente in prima persona. E in presa diretta”. Un pazzo innamorato beffardo, tenero, cinico, i cui racconti scaturiscono da esperienze dure, pagate tutte di persona, senza comodi alibi sociali e senza falsi pudori.

Ok, Bukowski è un genio nella sua irriverenza e nel vomitarci addosso tutta la sua vita, così com’è: nuda, cruda, violenta, ma anche drammaticamente poetica. Non mi soffermo sui contenuti di questi racconti, quanto piuttosto sullo stile e sul linguaggio, resi ancora più graffianti e a tratti caustici da una traduzione datata che, però, rende in maniera lucida e spregiudicata tutto il “realismo sporco” a cui appartiene. Devo dire, però, che da un certo punto in poi ho faticato a leggere, quasi nauseata da quel suo mondo così malato da cui non ha mai avuto intenzione di affrancarsi. Del resto, se l’avesse fatto non sarebbe diventato quell’icona maledetta che tanto ci affascina.


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