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Storie di ordinaria pizzeria

Creato il 09 ottobre 2011 da Stiven1986

Rimango sempre sorpreso quando ricevo mance nei luoghi più insperati. Oggi pensavo che ci deve essere una qualche sorta di legge naturale che regola le mance: meno si ha, più mance si danno. E viceversa.

Una delle cose che mi piace di più del mio lavoro del sabato e della domenica è proprio questa. Poter cogliere dall’uscio delle case in cui mi capita di consegnare le pizze alcuni attimi di vita e di umanità che lasciano intuire storie semplici, di provincia, forse grigie, sicuramente reali. Mi torna sempre in mente Raymond Carver. Vorrei essere capace, come lui, di ricostruire le storie, di trovare l’elemento straordinario della quotidianità di ciascuno di noi, e raccontarlo, con parole facili e una scrittura lineare.

Ieri ho consegnato quattro pizze: una coppia e i genitori di lui, o di lei. Quattro persone, quattro pizze. Nulla di cui stupirsi se non fosse che ciascuno di loro aveva nei piatti delle porzioni abbondanti di arrosto con le patate. Stasera, quasi a chiusura, mi trovavo dietro al bancone. Entra un cliente, carnagione scura, tratti del viso che rimandano a paesi lontani, e ordina una margherita. Il tempo per prepararla è sufficiente per scoprire che viene dal Pakistan e che non mangia da ieri sera, non perché non ha soldi – come si potrebbe facilmente concludere – ma perché oggi ha lavorato tutto il giorno e se passa l’ora di pranzo, passa la fame, dice lui. “S’è girato il mondo, lui” – mi dice Luca. “Facciamo mezzo mondo” – precisa il cliente. E’ nato in Pakistan, lì ha trascorso pochi anni della sua vita e ora, nemmeno quarantenne, ha vissuto ovunque e parla italiano (praticamente perfetto), inglese, tedesco, arabo (e il dialetto della sua zona nativa), hindi, un pochino di francese e “a mi ma pias ul milanes”. E “iamm’ bell’ ia, mettici nu puoc ri piccante”, sulla pizza. Il nostro amico fa il saldatore e se ne va contento.

Capitano weekend così, con un cliente che, alle dieci, chiude il cerchio, e apre un mondo.



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