Nota critica a Storie varie e diverse del disagio mentale, di Gloria Gaetano e Manlio Talamo
di Deborah Mega
La lettura critica di un saggio rappresenta quasi sempre un’esperienza che stimola e arricchisce in particolare quando oggetto dell’analisi è un’antologia di racconti e articoli di indubbia qualità, per l’importanza del tema trattato: il disagio mentale. Se dovessimo definire questo libro, diremmo “serio” e “onesto”. Si tratta infatti di una raccolta metodica, seria, che i curatori Gloria Gaetano e Manlio Talamo hanno effettuato con lucidità e cognizione di causa. Già il titolo Storie varie e diverse del disagio mentale chiarisce l’eterogeneità dei percorsi individuali, delle storie di ciascuno, frammenti di vita diversi eppure riconducibili a matrici comuni, tanto da rendere “tutte le vite un’unica storia”, come è ben espresso nell’Introduzione, necessaria e chiarificatrice, filo conduttore dell’intero corpus. Necessaria perché esplicativa di quello che è il percorso della trattazione, chiarificatrice perché costituisce anche una ricostruzione della propria storia, del proprio vissuto condotto accanto a una persona cara che soffre un disagio.
In questi casi, infatti, a soffrire non sono solo i diretti interessati, ma anche i loro famigliari: tutti portano sul volto e nell’animo una cicatrice di dolore, indelebile e irreversibile. L’incapacità di sostenere il dolore proprio e degli altri e soprattutto l’impreparazione ad affrontare le emergenze, le crisi che purtroppo a volte si manifestano, “senza preavviso né istruzioni per l’uso”, come scrive la Gaetano, sono elementi degni di nota, a cui occorre dare soluzione.
Moltissimi sono i casi in cui i famigliari, privi di adeguata preparazione, sono costretti ad assumersi oneri, responsabilità e assistenza medica e terapeutica proprio per la mancanza o il cattivo funzionamento dei servizi territoriali. La famiglia non dovrebbe sentirsi abbandonata dalle istituzioni, accollarsi il disagio del proprio congiunto in una condizione di isolamento, di vergogna, di rifiuto da parte della società, terribile quasi quanto la malattia stessa. Anche accettare i comportamenti deliranti è difficile, molto più semplice mentire a se stessi, cercare motivazioni razionali in manifestazioni patologiche, qualunque cosa aiuti a elaborare, sopportare, lenire il dolore perché si giunge a “sentire il loro male”, a condividere completamente la malattia per empatia.
Il merito principale di questo saggio è la chiarezza e il coraggio dell’esposizione, del ribadire a chiare lettere la necessità dell’intervento specialistico mirato a situazioni ed esigenze differenti, investendo dunque risorse umane e materiali. La sua stessa struttura evidenzia tale necessità, a partire dall’ascolto, primo approccio per comprendere il paziente psichiatrico e intraprendere con lui una prima forma di comunicazione e di inserimento nel sociale. Ecco allora che la trattazione presenta un’articolazione curata ed efficace come nelle migliori antologie.
Parte dai racconti reali, inviati da amici e conoscenti, struggenti perché scritti col cuore, con la partecipazione viva di chi è direttamente coinvolto, per poi giungere, attraverso le testimonianze concrete di operatori del settore impegnati nelle case-famiglia, laddove sono accolti soggetti psicotici in residenzialità e semiresidenzialità, a interviste ad utenti i cui casi sono significativi e che vivono “attivamente” nella comunità basagliana di Monticello di Bellona, in provincia di Caserta. Si tratta di cooperative del lavoro per i pazienti che vi svolgono formazione e successivamente lavori riconosciuti e retribuiti nei diversi laboratori creativi, nell’agricoltura, nell’allevamento. Non solo. Le stesse cooperative individuano, costruiscono, rafforzano una rete di situazioni “sane” di residenzialità, di occupazione, di tempo libero, di vacanza.
Si prosegue poi con le storie di San Cipriano D’Aversa, dove molti giovani disagiati lavorano nella fabbrica delle mozzarelle, nella NCO (Nuova cucina organizzata), in contrapposizione ironica alla Nuova camorra organizzata, in strutture sequestrate alla camorra, ristrutturate e corredate di attrezzature ludiche e sportive e date in gestione a cooperative sociali, di cui gli stessi disagiati sono soci. I curatori hanno riportato anche l’intervista al presidente della Cooperativa Agropoli sull’esperienza dell’attività di ristorazione gestita proprio dai disagiati in un territorio difficile. Si giunge al paradosso. Il disagio diventa risorsa per tutti, opportunità anche per il territorio. In queste isole felici i pazienti si sono integrati nella comunità, coltivano terreni, producono manufatti artigianali. Purtroppo nonostante il successo di queste iniziative, di questi progetti in termini di riabilitazione e di raggiungimento di obiettivi socio-sanitari, alcuni programmi terapeutici individuali sono stati sospesi per contenere i costi, sopprimendo realtà deboli che non avevano appoggi politici.
Che dire di Clara Sereni, madre esemplare e coraggiosa, della stessa Gaetano della quale tra i racconti si rivela di grande impatto emotivo “Lei, mia figlia”, di tante altre donne, eroine anonime che non si arrendono di fronte alle difficoltà e che lottano ogni giorno per amore. Della Sereni si riporta un racconto autobiografico di grande emozione ed efficacia narrativa tratto da Il lupo mercante. Preoccuparsi per i figli è legittimo, in particolare quando si sa che i figli sono fragili, non sono in grado di affrontare da soli le difficoltà che ogni giorno la vita riserva loro. Eppure è possibile arrivare a dire con consapevolezza “potrai fare a meno di me… Ho capito allora che ero libera anche di morire, ed è stato riprendermi un pezzo di me che ti avevo sacrificato, non senza fatica”, fino a concludere con emozione e lucidità, confidando nei progressi, lenti e difficili ma non impossibili di cose impossibili ne hai già fatte molte: puoi continuare a farne, con me e senza di me.”
Queste parole me ne riportano alla mente altre, celebri, di Virginia Woolf, una grande scrittrice che nelle sue opere ha parlato spesso di temi come l’angoscia e la depressione. “Unire, creare, fluire… questo è quello che fanno le donne”. In particolare quando oltre ad essere donne, sono madri.
La terza parte dell’opera, infine, costituisce un approfondimento molto interessante sulle innovazioni introdotte dallo psichiatra Franco Basaglia con la legge n.180 del 1978, nota come Legge Basaglia, attraverso la quale avvenne l’abolizione in Italia degli ospedali psichiatrici e l’istituzione di servizi di igiene mentale dove si persegue la centralità del malato di mente rispetto alla scelta metodologica di porre la malattia al centro della ricerca e del percorso di recupero.
Per Basaglia la follia nasce dalla società e viene respinta da essa, mentre è a questa che deve fare ritorno. All’individuo infatti vanno restituite due cose: soggettività e libertà per dare origine a un nuovo umanesimo, per offrire al soggetto nuove possibilità sul palcoscenico della vita. Senza le idee sul sociale, eredità di quel grande artefice del cambiamento che è stato Basaglia, niente sarebbe stato possibile.
Un libro, dunque, che fa riflettere, aiuta a superare il pregiudizio che emargina e l’indifferenza che illude che il problema non esista solo perché magari si ha la fortuna che non ci tocchi direttamente mentre è così precario il confine tra normalità e disagio. Un libro che restituisce la speranza di condurre una vita normale, perché è possibile convivere con la malattia ed è altrettanto possibile guarirne. Un giorno l’utopia diventerà realtà attraverso l’abolizione dei manicomi giudiziari, l’adeguamento delle strutture sanitarie del territorio, la formazione continua degli operatori, la possibilità di diagnosi precoci e di finanziamenti per le strutture di accoglienza, l’opportunità per le persone con disagio di inserirsi nel sociale, abitare autonomamente dopo un percorso personalizzato, finalizzato al recupero della “normalità” e al ritrovamento del desiderio di vivere, degnamente.
Attraverso i racconti, le riflessioni, le idee sul sociale, le proposte, riportando anche le parole di Peppe Dell’Acqua, direttore del Dsm diTrieste, gli autori hanno espresso a chiare lettere che “guarire si può”. Ciascuno ha il diritto di essere persona. Ciascuno ha il diritto di aspettare la primavera, “quando le nuvole sono più leggere e il cielo è più azzurro” (dal Dialogo di Marco Cavallo e il drago con gli internati di Montelupo, P. Dell’Acqua). Ciascuno ha il diritto di continuare a sperare. Questo libro ci aiuta a farlo.