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Strage di Capaci: poliziotto costretto a ritrattare testimonianza su un furgone bianco

Creato il 22 aprile 2014 da Giornalesiracusa

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I buchi neri intorno alla strage di Capaci non riescono a dissolversi ma, anzi, si infittiscono sempre di più. Dopo più di un ventennio, vengono ancora a galla calcolate menzogne, omertosi silenzi e mirati nascondimenti. Ancora un giallo sulle dinamiche dell’uccisione di Giovanni Falcone.

In quei giorni di maggio del 1992, un agente aveva giurato di aver visto un furgone bianco proprio nei pressi del luogo dell’attentato ma, poco dopo, aveva già prontamente ritrattato per paura. Durante l’attuale ricerca su omissioni e depistaggi scoperti in indagini precedenti, affiora l’intreccio di una pista che merita di essere percorsa.

Il poliziotto ha accusato un ex funzionario del ministero degli Interni, Gioacchino Genchi, tecnico specialista di telematica e telefonia, ex consulente di molte procure che era già stato sospeso e destituito, tre anni fa, dalla polizia per motivi disciplinari e che, oggi, fa l’avvocato. Secondo la sua denuncia, Genchi lo avrebbe indotto, utilizzando avvertimenti minacciosi, a ritrattare ciò che aveva dichiarato di aver visto allo svincolo di Capaci.

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Nel frattempo, Genchi ha presentato la propria contro-denuncia per calunnia. Dalla verità si è ancora piuttosto lontani, ma su quel furgone bianco gli accertamenti delle investigazioni si sono appena riaperti e potrebbero condurre nella direzione giusta verso i mandanti esterni a Cosa Nostra coinvolti nella strage. Questo filone di indagine ha avuto inizio dalle due deposizioni contrastanti di un agente della stradale, il quale, a distanza di meno di una settimana, aveva modificato il punto di collocazione di quel furgone, spostandolo di non poco, che aveva notato lungo la Palermo-Trapani, proprio la sera del 22 maggio.

Perché questo agente ha corretto la propria testimonianza? Quale delle due versioni è quella veritiera?

Ad ogni modo, per più di vent’anni, nelle varie linee di esplorazione investigativa e indagativa riguardanti la strage di Capaci, di questo furgone bianco non c’è più stata alcuna traccia. Esso è ricomparso nell’inchiesta solo un mese fa, quando il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e i suoi pm hanno riesaminato le pagine dei vecchi documenti e hanno preso nuovamente in seria considerazione le due versioni contraddittorie sul furgone. Allora, a questo punto, quell’agente della stradale è stato convocato e dall’interrogatorio è emerso chiaramente che egli era stato costretto a rivedere la propria versione dei fatti per fare in modo che quel furgone bianco non rimanesse coinvolto nella scena della strage.

Lo stringente invito a falsare le dichiarazioni sul posto in cui era ubicato il furgone era stato fatto ad opera di un personaggio già molto noto, Gioacchino Genchi. Quest’ultimo, indagato come atto dovuto per favoreggiamento aggravato, è già stato ascoltato: ha dichiarato di non aver mai conosciuto quel poliziotto della stradale e, quindi, ha confutato il fatto di aver mai esercitato quel

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tipo di pressioni su di lui. Durante lo studio della documentazione, i procuratori di Caltanissetta si sono imbattuti in un’altra dichiarazione, rimasta finora sotterrata, riguardante proprio quel furgone bianco.

Si tratta del verbale dell’interrogatorio di Francesco Naselli Flores, ingegnere palermitano e cognato del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, il quale si era casualmente trovato a passare proprio quel giorno, intorno alle h:12.00, proprio da quello svincolo di Capaci e aveva, successivamente, affermato di aver visto un furgone bianco che gli era sembrato un Maxi Ducato e, accanto, alcune persone che stendevano cavi, di cui, poi, era stato in grado di fornire anche un identikit. A quell’epoca, tramite alcune indagini si riuscì ad accertare che nessuna azienda aveva mandato propri operai o tecnici in quella zona per effettuare dei lavori.

Le ricerche sui misteri oscuri della strage di Capaci non si fermano: bisogna ancora fare luce sugli esecutori, sui mandanti, sulla loro provenienza probabilmente non solo mafiosa in senso stretto – come ha sostenuto, qualche mese fa, la procura nazionale indagando in una direzione parallela a quella di Cosa Nostra.

Per quanto riguarda i concorrenti esterni, le ricerche non si arrestano ma si procede nel tentativo di individuare i mandanti altri fra uomini che hanno prestato servizio per apparati dello Stato.


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