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Strama, dopo l’autocritica  puoi diventare un big

Creato il 13 settembre 2013 da Mbrignolo
Strama, dopo l’autocritica  puoi diventare un big

Andrea Stramaccioni è tornato a parlare
e lo ha fatto dai microfoni di Sky Sport

L’OPINIONE (Milano). “Mi sentivo nel pieno controllo della situazione, poi, quasi improvvisamente, la situazione è peggiorata e ammetto di aver pagato cara la mia inesperienza”. Parole e musica, con melodia, però, di quelle malinconiche, nientemeno che di Andrea Stramaccioni. Già, proprio lui, quel ragazzotto un po’ divo di Hollywood e un po’ Mr.Bean apparso improvvisamente sulla scena calcistica nazionale per poi, altrettanto rapidamente, uscirne.
Enfant prodige nel settore giovanile romanista, figliol prodigo condottiero dell’Inter Primavera (vincitrice della Next Gen Series, che mai si capirà se possa o meno intendersi come la Champions League dei giovincelli), “Strama” trovò la ribalta quando, un esasperato Massimo Moratti, tolse le briglie della squadra dalle mani di Claudio Ranieri per affidarle, quasi come ultima spiaggia, a un giovane sul quale quantomeno si poteva evitare quel masochistico gioco di pressioni e aspettative.

Ci piacque Stramaccioni alla sua prima conferenza stampa alla Pinetina. Ironia romanesca, senso estetico moderno e casualeggiante, cosparso di quella finta umiltà tipica di chi è cresciuto nella nuova epoca mediatica, fatta sì di polemiche e sensazionalismo ma entrambi “modellabili” da chi in mezzo a questa nuova generazione di tecnici rampanti è cresciuto. Si era quasi prostrato davanti a figure come quelle di Wesley Sneijder, protagonista del Triplete, ma in cuor suo sapeva che da lì a poco proprio l’olandese si sarebbe permesso di congedarlo; esternava imbarazzo nel paragonarsi a Mourinho, quando la sua ambizione era quella di spodestare lo Special One dal trono nerazzurro; il suo stesso stile apparentemente composto  è durato poco davanti alla gioia di una vittoria nel derby, il suo primo derby a San Siro.

Ci piaceva forse per questo il giovane Andrea, un po’ spaurito un po’ spaccone, un mix di italianità di cui pensavamo di avere bisogno dopo l’era mourinista che ancora echeggiava, in particolar modo ad Appiano Gentile.

Poi, prima ancora dei risultati, qualcosa è cambiato.

Ricordo la vittoria a Torino della sua Inter: bella, bellissima nell’imporsi sull’imbattibile Juve scudettata; lì, nel catino bianconero fino ad allora sinonimo di fatiche e sofferenze per gli avversari di Madama. Ho impresse le interviste del dopogara rilasciate da Strama, le parole sì orgogliose ma tanto, troppo audaci e autoreferenziali. In un mondo che la gloria velocemente ti dà e altrettanto velocemente ti toglie, Stramaccioni mi sembrò troppo piccolo e ingenuo in quel volersi sentire grande e maturo. In un colpo solo provò a insinuarsi nel gotha del calcio italiano, mettersi fra la schiera dei vincenti, permettendosi di punzecchiare gli avversari ed elogiando il suo modo di muovere i fili di un’Inter di nuovo competitiva. Questo solamente per tre punti conquistati contro la Juve allo Juventus Stadium.

La sconfitta di Stramaccioni avvenne proprio nella sera in cui ottenne la sua più grande vittoria, che scherzi, il destino. Già dalla settimana seguente l’Inter iniziò una rovinosa caduta che condusse dritto dritto all’addio al figliol prodigo e a un anno andato in archivio fra i peggiori della storia della Beneamata.

Non ci è piaciuto, l’Andrea liquidato, quando con lodevole ma sin troppo eccessivo coraggio si è precipitato sulla poltrona Rai durante la Confederations Cup: anche quella è stata una tappa prematura, con i telespettatori che avevano ancora in mente la sua debacle e vecchi lupi di mare alla Zazzaroni pronti quasi a deriderlo davanti alle telecamere. E’ sembrato inerme, un coraggioso Icaro ancora, però, frastornato dalla rovinosa caduta.
Non è un caso che in questi mesi estivi di “Strama” non se ne sia più sentito parlare. Non è un caso che nemmeno davanti ad alcune voci di mercato che lo volevano tornare in sella lui non si sia speso in autocandidature o abboccamenti pubblici.

Sta crescendo il giovane Strama, sta comprendendo quanto il low profile sia un elemento imprescindibile quando paraculo un po’ lo sei ma in bacheca ancora niente hai.

Poi, alla vigilia di Inter-Juve, guarda un po’, lo vedi riaffiorare davanti a microfoni che più risalto possibile possono dare alle sue parole. Parole che non sono sprezzanti, non prevedono autoelogi, non punzecchiano avversari. “Ero inesperto”.

Ed eccolo lì, l’Andrea liquidato tornato il giovane Strama: un po’ meno finto-umile di prima, maturato dopo un bruciante k.o., una paraculaggine più morbida perché le domande su illustri predecessori e campioni dal comprovato prestigio non sono più affar suo.

L’ambizione resta, lo sappiamo, come sappiamo che Stramaccioni ha ancora oggi una forte consapevolezza nei propri mezzi. Ed è giusto così.
Iniziare dall’Inter, da quell’Inter, non sarebbe stata impresa facile per nessuno: partita per lanciare la linea giovane, fattasi ingolosire da un primato a portata di mano, illusa da una vittoria di Pirro e poi pervasa dagli infortuni, forse nemmeno i Conte e i Mazzarri avrebbero potuto governare quella nave. Strama questo l’ha capito, ma ha anche capito che per affrontare la tempesta un capitano, al giorno d’oggi, deve anche saper fungere da mozzo e vedetta, non solamente da timoniere.

L’esilio al quale è costretto e la pubblica ammenda sono tappe che in futuro gli serviranno. Tanto.

Errare, d’altronde, è umano, e Strama è forse tra gli allenatori più umani del nostro calcio. Siamo pronti a rivederlo all’opera, augurandogli di non sbagliare tempi e modi dell’ingresso in scena.
Perché se perseverare è diabolico, nel calcio lo è anche un po’ di più.

Contenuto ceduto in esclusiva dall'agenzia alaNEWS. Riproduzione vietata. Anno 2013.

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