Capita a tutti, almeno una volta nella vita, di scampare a qualche strano pericolo mortale. Con molta concisione dirò che a me successe nel 1995, in una stradina del centro di Amsterdam. Era un pomeriggio di agosto, quando all’improvviso si alzò un vento spaventoso che annunciava l’arrivo di un violento temporale estivo. Mentre camminavo in direzione della stazione centrale, dove contavo di rifugiarmi dalla pioggia imminente, incappai in una curva degli eventi sulla quale, da allora, non ho mai smesso di riflettere. Da sempre quando passeggio ho un’abitudine: a volte mi fermo di colpo, come se mi cogliesse un pensiero pesante che mi impedisce di proseguire. Mi inchiodo letteralmente sul posto e mi fisso a guardare un punto fra i piedi, o uno squarcio di cielo, o il profilo di un manichino nella vetrina di un negozio. È esattamente quello che feci quel pomeriggio nella stradina di Amsterdam. Il cielo si era annerito all’improvviso e le raffiche di vento agitavano i kway che i turisti si affrettavano a indossare, mentre cercavano riparo nei caffè, nei negozi di souvenir, nei sottoscala delle palazzine a tre piani. E in mezzo al turbinio del vento, io inspiegabilmente mi fermai. Il tutto sarà durato un secondo o due. Quando dal mio cervello partì l’impulso che ordinava alle gambe di riprendere la marcia verso la stazione, in quel preciso istante, vidi un’ombra enorme a un metro dalla mia fronte, un gigantesco vaso di terracotta, spazzato via da una folata di vento più forte delle altre, volò giù da un davanzale posto esattamente sopra la mia testa, passò a venti centimetri dal mio naso e si sfracellò a terra, scagliando grandi schegge velocissime in tutte le direzioni. Mentre cercavo vanamente di capire quale segreto si celasse nell’immagine dei grumi di terriccio sparsi sull’asfalto, ai quali erano ancora radicati i gambi di poveri fiori straziati, ripresi a camminare, ma in un modo quasi del tutto autonomo dalla mia volontà. Calpestai quei resti come se simbolicamente volessi riaffermare la mia vittoria sulla fatalità, con fredda soddisfazione, mentre cominciavano a cadere le prime gocce gelide di pioggia
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