E’ Primavera, finalmente.
Qualcuno, se non tutti, iniziava a dubitare dell’esistenza della terza stagione, la primavera appunto. Sì perché in fila si chiamano così: autunno, inverno, primavera, estate. Forse per farti sempre sperare nell’happy ending, comunque ci piace l’ordine delle stagioni, ci piace.
Dunque, è Primavera, svegliatevi bambine, mettete le gonnelle, i leggins con il polpaccio di fuori, gli stivali sfoderati, la borsetta sempre più minimal e via. Si esce. Si passeggia per le strade, le vie, così a caso. Per far svolazzare i capelli e fingere di essere in ritardo per qualcosa. Un aperitivo a cui nessuno ti ha invitato ma così, a sfregio e sfizio, te lo fai da sola. Dal Veneto, quello che costa poco e ti riempie col buffet a disposizione.
Ma non divaghiamo troppo sul tempo, il meteo e l’avvinazzamento epidemia del millennio happy hour.
Dunque, dicevo. E’ Primavera. Aridaje.
I muri dei palazzi sono brutti anche in primavera, in estate figuriamoci col sole che li brucia, in inverno manco li guardi, l’autunno in realtà non esiste, è una proiezione, sappiatelo. Eppure è da qualche mese che le città scoppiano di street artist nei luoghi che erano impensabili, prima. Prima di adesso intendo.
Roma, Milano, Firenze, Torino, Napoli, hanno facciate di palazzi da dieci piani dipinte da street artist famosi, italiani e non. Molti dei murales formato gigante sono commissionati da associazioni che hanno partecipato a bandi di quartiere, oppure sono il frutto di studi di arte contemporanea, progetti urbani che vogliono migliorare l’estetica della cementificazione selvaggia. Evviva!
Allora ecco che a Roma, nel quartiere Quadraro, ma non soltanto lì, si organizzano tour alla scoperta di questi enormi disegni, dipinti che invadono le pareti dei condomini e che evadono dal grigio spento del tessuto urbano, che frizza.
Alziamo gli occhi quindi e accorgiamoci che il palazzo non è più giallino canarino malatino oppure scrostato, rimbiancato e riscrostato, verde sembranonsembranatinta, ma accorgiamoci che c’è un disegno. Fatto da un artista o due o tre, che sono saliti su una impalcatura, con tutti i permessi a seguito, che hanno pensato e ideato e dipinto un volto, un ambiente, un ricordo di quel quartiere, di quella piazza, di quel muro. Che vede tante facce passargli davanti ed ora te ne restituisce una, quella del filippino che è venuto ad abitare in questa via da trent’anni e rimarrà altri trent’anni lì forse, almeno finché dura la pittura.
E mentre state con la faccia all’insù, prendetevi pure un buon caffè.