Adesso, da ogni città che Marco gli descriveva, la mente del Gran Khan partiva per suo conto, e smontata la città pezzo per pezzo, la ricostruiva in un altro modo, sostituendo ingredienti, spostandoli, invertendoli.
ITALO CALVINO, Le città invisibili.
Federica Melis. Un artista, un poeta nomade, un mago che ha fatto dell’immagine in esilio il proprio marchio di fabbrica. Opere, quelle di Jimmie Durham, che con sagace ironia sfidano e demoliscono definizioni consolidate, significati, verità fondamentali, stereotipi e pregiudizi della cultura occidentale.
La sua arte, attraversata da numerose correnti culturali e da differenti stili, incrocia con pertinace genio il campo visivo, il teatro, la performance, la saggistica, la poesia, la scultura, l’assemblaggio e le installazioni con una ricerca che, attingendo dalla sfera urbana e da quella naturale, esplora il rapporto tra oggetto, parola e significato.
Al MACRO, dal 29 novembre 2012 al 10 febbraio 2013, si omaggia la lunga carriera dell’artista Cherokee con la prima grande mostra personale in un museo pubblico italiano: Streets of Rome and Others Stories. Allestita presso la Sala Bianca, la mostra offre al pubblico una visione inedita e trasversale sull’universo poetico, formale e critico dell’artista in cui oggetti e materiali, riacquistando una forza primigenia e pre-verbale, diventano simboli di un’archeologia comunicativa commistionata tra natura, tecnologia e civiltà.
L’esposizione raccoglie le opere più significative realizzate dall’artista negli ultimi dieci anni procedendo in un itinerario tra installazioni, disegni e video che riflettono il particolare rapporto intrattenuto con Roma, città nella quale Durham ha vissuto negli anni a cavallo tra il 2007 e il 2012: Pursuit of Happiness (2003), un cortometraggio di tredici minuti ambientato fra il deserto e l’autostrada in cui l’artista albanese Anri Sala interpreta un giovane indiano impegnato nella raccolta degli oggetti più disparati -ossa di animali e indistinti rifiuti- che andranno a costituire l’opera d’arte finale. Un film che per la sua esplicita aderenza all’operato durhamiano esula da ogni principio di mimesi e che dunque non rappresenta, ma presenta spettacolarizzata quell’avventurosa operazione di recupero dei materiali di scarto profondamente impiantata nel quotidiano. Templum: Il sacro, il profano e altro (2007), installazione – realizzata con elementi provenienti dal mondo naturale e oggetti prelevati dall’industria- che articola la propria riflessione intorno ai temi centrali dell’esistenza, dove gli elementi protagonisti, il sacro e il profano, si accostano per contrapposizione come testimonianza della contraddizione di un mondo globalizzato. Il sacro -secondo le parole di Claude Lévi-Strauss- è “ciò che attiene all’ordine dei mondi, ciò che garantisce questo ordine. Ma il sacro concerne anche l’uomo e non solo il cosmo fisico. Il sacro è in tal senso un valore, una produzione culturale”. E dunque il sacro, come valore culturale e il profano, incarnato nello spazio sociale, risiedono stabilmente in un unico grande “Templum” della civiltà globale, fondendo caratteri di antico ordine esistenziale con istanze politiche e sociali che ne mostrano l’attualità.
Underground and cloud connections (2012) installazione nata in seguito ad una passeggiata sull’Appia antica, s’interroga intorno alle possibili metamorfosi paesaggistiche del territorio romano. Frammenti di corteccia, rami nerboruti, tubi idraulici, un quadrato di vetro e una pelle di serpente post-muta vengono ironicamente accostati nell’intento di insediare l’idea di un cambiamento che germoglia nell’arida fissità di scene note.
La mostra conclude con due opere appositamente concepite e realizzate per gli spazi del MACRO e con una serie di installazioni che avvalorano l’interesse di Durham per la storia dell’arte e l’iconografia: Deposizione (2006), Homage to Constantin Brancusi (2011), Arch de Triumph (Red) (2007) e la serie Joe Hill Painting (2002).